giovedì 30 maggio 2013

Cosa rende grande Dragon Quest IX



1) Akira Toriyama
Non ve lo devo nemmeno spiegare, vero? Credito anche a Yuji Horii, che disegna da sempre tutto ciò che non è personaggi in Dragon Quest.

2) Portatile
Se Dragon Quest IX fosse un gioco per consolle casalinga ti terrebbe attaccato alla tv per ore e ore. Ma è portatile. E quindi addio vita sociale.
DQ9 però offre una marea di approcci diversificati e obiettivi molto ben definiti e raggiungibili in tempi decenti.
Che tradotto vuol dire che si presta benissimo anche alle partitelle mordi e fuggi, venti minuti sulla coriera, quarto d'ora sul cesso ecc.

3) Abbordabile
Non ho detto che è facile. E' abbordabile. Che vuol dire che è facile, ma ci devi saper fare.
E' una buona scelta per chi non ha mai provato Jrpg, perchè è molto graduale, ma anche gli abituè trovano di che sfiziarsi a livello di scelte strategiche per sconfiggere i mostri più coriacei.
Quindi oltre ad essere abbordabile in termini di tempo è abbordabile anche in termini di difficoltà.

4) Mordi e fuggi
Si è già accennato a questa cosa che DQ9 lo puoi affrontare tranquillamente anche a piccole dosi (anche se quando hai tempo ti piace starci attaccato finchè morte della batteria non vi separi).
Facciamo un esempio pratico.
Monster Hunter su psp, che è forse l'emblema del gioco mordi e fuggi per consolle portatile, in media richiede sui 40 minuti per portare a termine una missione. Sembra niente, ma 40 minuti sono quasi un'ora e uno che vuole fare una partita mordi e fuggi è difficile che riesca a prendersi un tempo del genere.
E' anche vero che (almeno nel mio caso), non mi piace iniziare una partita senza avere la certezza di arrivare a capo di qualcosa, perchè mi sento scemo.
Quindi se non ho il tempo che mi serve, mi passa la voglia di iniziare a giocare.
DQ9 invece oltre alla storia principale offre una folta schiera di obiettivi realizzabili a breve termine, che almeno te la senti di giocare anche per dieci minuti e non ti senti coglione perchè combini qualcosa.

5) Immersivo
Pochi giochi sono immersivi come DQ. E il 9 nonostante il formato portatile, anche.
Ci sono una marea di piccoli accorgimenti per farti sentire parte di un mondo vivo e pulsante, con le sue storie, le sue battute divertenti, i suoi personaggi che bucano lo schermo.
Basta curiosare in giro, leggere un libro di qua, parlare con qualcuno di là, fare attenzione alla coppia di turisti nella locanda che dopo un po' se ne va via perchè la vacanza è finita, fermarsi e farsi raccontare dai personaggi le loro storie, per sentirsi completamente assorbiti e affascinati.
L'ambientazione è coerente, viva, profonda e pittoresca. E la cosa si sente tutta.

6) Storytelling
Lo storytelling è eccezionale. C'è una trama di fondo, che per molto tempo rimane davvero sul fondo, salvo poi venire ripresa saltuariamente. Questo però non vuol dire che perda mordente o che sia trascurabile. Semplicemente ogni tua azione e ogni tuo viaggio e ogni tua missione è motivata alla lontana da quella che è la storia principale, primo motore della vicenda.
Ma nel pratico il gioco consiste nel viaggiare di città in città a risolvere dei problemi. Talvolta per raccogliere della Benessenza, ovvero preghiere umane condensate (il protagonista è un angelo), altre volte per raccogliere i frutti sacri dell'albero Yigdrasil, caduti accidentalmente sulla terra dalla tua città che fluttua sulle nuvole.
Pertanto di volta in volta la storia va a coincidere con le storie dei personaggi bizzarri che trovi sul tuo percorso, come il cavaliere nero che ha perso l'amore, la locandiera dispersa, il burbero erudito in lotta col suocero, lo scultore nostalgico, la bambina che evoca il dio del mare, l'abate in fuga e così via...
Storie che nel loro piccolo possono nascondere qualcosa che va oltre l'apparente semplicità, e di sicuro al di là degli stereotipi.
Aggiungiamoci che il tuo protagonista non parla mai, e nonostante questo i dialoghi e la storia restano coerenti, divertenti ed eccezionali!

7) Crafting
Odio il crafting, sempre detto, ma qui il crafting è semplice. E, oh, diciamola tutta: per essere bello un gioco non deve per forza essere difficile. Se le cose semplici sono fatte bene, sono le migliori.
Detto questo, il crafting si configura come un mago-pentola alchemica nel quale buttare degli oggetti e mescolarli per crearne di nuovi, senza esborso di denaro nè altri particolari sbattimenti.
Salvo pochi oggetti come erbe medicinali e ali di chimera, che ti permettono di tornare istantaneamente alle porte di una città già visitata, praticamente tutti gli altri oggetti che si trovano nel gioco servono esclusivamente per il crafting. E questo è decisamente vario.
Si può decidere di tentare la sorte miscelando cose a caso, o si possono seguire delle ricette, che, con un po' di perizia e di pazienza, si potranno trovare disseminate nelle librerie di tutto il mondo di gioco. Si possono craftare più di un migliaio di oggetti tra armi e vestiti, ma l'unica difficoltà in questo sistema di assemblaggio così intuitivo è il tempo che uno impiega tra il reperimento delle materie prime e le ricette stesse.
Semplice, intuitivo e gratificante.

8) Personaggi
Il tuo party lo puoi creare tu come preferisci: puoi dare ai personaggi un'aria scanzonata, un'aria seria, un'aria figa. Molti outfit sono tipici di Toriyama, come l'acconciatura da Saiyan o il mohawk alla Ub.
Col tempo ci si affeziona alle proprie creaturine e tra tutti gli outfit con cui le si può personalizzare si comincia a viverle un po' come un Tamagotchi. Anche questa l'ho trovata una figata.

9) Grafica
La grafica è eccellente. Gli ambienti sono disegnati benissimo, i personaggi principali (il tuo party e quelli rilevanti per la storia) sono in 3D mentre gli altri sono tutti in sprite, ma la differenza si nota a malapena.
Le ambientazioni sono decisamente varie e dettagliate, sia per quanto riguarda gli ambienti domestici e urbani, tanto per quanto concerne gli ambienti naturali: oceani, montagne, grotte, deserti, spiagge.
Spesso si gode di vedute evocative e paesaggi maestosi, per quanto i poligoni restino sempre abbastanza visibili.
Teniamo conto però che il Nintendo Ds in media supporta giochi che sono poco più in su di quelli per Game Boy Advance, quindi vedere una cosa del genere su una consolle così è qualcosa che scalda il cuore.
E' difficile trovare un comparto grafico così centrato anche su giochi Psp, dove l'hardware permetterebbe di fare roba migliore.

10) Colonna Sonora
Della colonna sonora di Dragon Quest parlai appena aperto questo blog. QUI per chi vuole andarsi a leggere cosa scrissi.
Bè, penso esattamente le stesse cose, eccetto forse che stavolta è addirittura meglio: il gioco è portatile.
La colonna sonora è perfetta. Il senso di libertà alle stelle.
Note che toccano il cuore ed esaltano la poesia stramba di un gioco che è una piccola grande opera d'arte.

Del multiplayer non parlo, non avendo ancora avuto modo di sperimentarlo (certo che se qualcuno volesse sperimentare mi avvisi, che io sono pronto da subito!)

Giocare a DQ9 mi ha spinto ad elaborare una riflessione più ampia sui videogiochi.
Si dice ultimamente che il mondo del videogioco stia decadendo, preda di se stesso. E' vero.
Almeno finchè le consolle di nuova generazione continueranno a puntare tutto sulla grafica e sui franchise collaudati lasciando coraggio e fantasia alla Playstation 2 e alla Wii.
Finchè il mercato sarà invaso dall'ennesimo sparatutto e dagli annuali giochi di sport non ci sarà un nuovo impulso a produrre qualcosa di veramente divertente.
Perchè, diciamocelo, è un insulto all'intelligenza pensare che giocare lo stesso gioco anno dopo anno sia divertente. Insomma, gli sparatutto sono generalmente tutti uguali, e anche al calcio, non è che aggiungano nuove regole ogni anno!
Nelle recensioni tutti badano alla grafica, alla longevità (sempre meno) al multiplayer (che se oggi un gioco non ha il multiplayer è roba di serie b).
Ma c'è un fattore, che più di tutti è importante ai fini del gradimento di un gioco e che purtroppo noto che la gente si fila sempre di meno:

IL DIVERTIMENTO.

La gente si autoimpone certi polpettoni di giochi pallosi o tutti uguali solo perchè sono l'ultimo uscito o quello con un graficone della madonna. Fondamentalmente le dinamiche di gioco restano analoghe e provato uno, provati tutti.
Alla lunga non diverte più.
Ci sono tanti feticci:
DIFFICOLTA' = BELLEZZA.
BELLA GRAFICA = VALIDITA'.
MULTIPLAYER = SODDISFAZIONE.
E il divertimento dove lo mettiamo?
Dragon Quest 9 mi piace perchè DIVERTE. E' semplice il giusto (perchè oh, diciamocelo, se non vinco a me un gioco non è che diverta poi tanto), non punta a feticci fini a se stessi, non si può dire che innovi, ma diverte e diverte un sacco.
Questo mi ha fatto pensare che d'ora in poi sceglierò i miei videogiochi solo in base al criterio "MI DIVERTE O NON MI DIVERTE?".
Pensateci...

Vagabond secondo me


Questo è il copia e incolla di una risposta mia a QUESTO video in cui Cavernadiplatone parla male di Vagabond.
Con Cavernadiplatone parlo sempre volentieri: legge un sacco, ci capisce, è uno dei pochi che pensa con la sua testa ed è tanto capace di farlo che alla fine sono in tanti che pensano con la sua testa, c'è stima insomma.
Però secondo me il suo giudizio è falsato da determinati fattori.
Questo è quello che di Vagabond penso io, e non vorrei che andasse perso.



Dome, che Vagabond non ti piaccia per una questione di gusti ci può anche stare, ma quando dici che proprio è una merda sbagli.
E' semplicemente molto diverso dal resto della produzione di Inoue, che uno magari se lo aspetterebbe un po' più nazionalpopolare mentre invece questo Vagabond è una cosa un po' tanto di nicchia, una sorta di testamento artistico dell'autore.
Ci sono cose, in Vagabond, che non ho trovato in nessun altro manga e nel momento in cui lo shonen modaiolo mi ha rotto i coglioni, sono state opere come Vagabond a rimanermi in testa.
Cose, però, apprezzabili da uno come me che in roba di Giappone ci si sta laureando.
Vedi, la mia più grande passione è la storia del Giappone antico. Non saprei dirti perchè, ma è quella. Samurai, monaci, poeti, eremiti, imperatori in ritiro, pellegrini, contadini, templi, villaggi di legno, giardini, residenze nobiliari... hanno sempre esercitato un grande fascino su di me.
E in Vagabond trovi quel tipo di Giappone, sia nel testo che nel metatesto.
Intanto Vagabond non è una trasposizione del Libro dei Cinque Anelli (non te lo dico per fare il precisino di sto cazzo... te lo dico per correttezza così poi magari ti viene la curiosità e ti vai a recuperare pure i libri, che costano poco e valgono la lettura).
Il Libro dei Cinque Anelli è un trattato di filosofia/arte militare di impostazione buddhista come quelli popolari tra i samurai dell'epoca (molti conoscono il cinese Sun Tsu, letto volentieri anche in Giappone, e lo Hagakure di epoca Edo, scritto da Yamamoto Tsunetomo), e non un romanzo nè una biografia, se non in senso lato.
Ishinomori si avvale della divisione in maki (rotoli, libri) dell'opera di Musashi per scrivere una biografia di Musashi... insomma il suo è un artificio letterario.
Vagabond invece si pone l'ambizioso obiettivo di trasporre la lunghissima epopea di Yoshikawa Eiji (oltre 900 pagine la traduzione inglese con dei tagli, e mi pare di ricordare che la versione integrale giapponese sia composta di otto libri, a loro volta raccolta della prima stesura apparsa come romanzo d'appendice dello Asahi Shinbun, primo quotidiano giapponese, per 4 anni) in forma di manga, e quella si, è una sorta di biografia romanzata.
Se sia annacquato non te lo so dire, ma non penso. non ho letto la versione in giapponese (troppo lunga e non ho un livello tale da leggermi le migliaia di pagine. non ancora XD) però considerata la sua lunghezza il manga mi sembra onesto.
Per me che ho la passione per certe cose, già solo questo mi conferisce un valore particolare a un manga che ti rende accessibile una cosa che in italiano abbiamo come traduzione di seconda mano, con tagli e rese libere che è una porcata.
E pure quando parli dei duelli di samurai mi sono stupito.
La verità vera dei duelli di samurai non è quella edulcorata degli spadaccini di Bleach. I tipi studiavano tanto e poi a meno che non si trattasse di una situazione di guerra, i duelli uno contro uno li risolvevano in un colpo solo. Come i cow boy con le pistole (e chiediti perchè il cinema americano sui cowboy ha saccheggiato a piene mani la cinematografia giapponese del dopoguerra! I Sette Samurai diventa I Magnifici Sette; Yojinbo diventa Per un Pugno di Dollari). Passavano minuti e minuti a studiarsi, il duello era in primis mentale (non dimenticare che la spada non era "la spada" ma "l'arte della spada". I Giapponesi tendono a vivere qualsiasi espressione dell'essere come un'arte) e il cedimento che portava alla sconfitta non era nella tecnica ma nella forma mentis: il primo a cui cedeva la concentrazione perdeva la vita. E in questo la figura di Musashi fu particolare, perchè dove non arrivava con la tecnica arrivava con l'espediente: presentarsi in ritardo ai duelli, mettersi di spalle al sole e aspettare il momento buono che il nemico ne resta accecato...
Però naturalmente queste sono cose che uno apprezza se ha la passione o se un minimo le ha studiate... io per esempio del cinema di Kurosawa ho cercato di vedere tutto il possibile e mi sono innamorato dell'archetipo del samurai, sempre uguale, sempre stereotipato, a tratti irreale, ma sempre figo.
E dal punto di vista del disegno...
Qua proprio mi sento di contraddirti in pieno.
Il tratto di Vagabond si è rarefatto col tempo. Non so come sia Real ma non credo che anche Real abbia preso tale piega. Questo dovrebbe dimostrare che la cosa è un espediente voluto, non sintomo di svogliataggine.
Non mi puoi mettere sullo stesso piano un Takehiko Inoue con un Tite Kubo o un Masashi Kurumada qualsiasi!
Inoue è uno che fa esposizioni d'arte e mostre nei musei. E' uno che ha studiato i presupposti dell'arte giapponese classica dai maestri ancora viventi, prima di approcciarsi a questo manga.
Anche questa è una cosa che i Giapponesi e chi studia il Giappone riconoscono, ma il lettore medio purtroppo no: lo stile di pennellata di Inoue è uno stile classico affermatosi a partire dall'epoca Kamakura e si chiama Zenga (letteralmente pittura zen), o Sumie (disegni a inchiostro nero).
Questo stile pittorico nacque come esercizio spirituale dei monaci zen, era una sorta di coadiuvante alla meditazione, e poteva consistere anche nel cercare di disegnare un tondo col pennello ogni giorno per anni. E' una tecnica che si lega molto da vicino alla calligrafia tradizionale giapponese e cinese importata in Giappone, che poi è sempre stata legata a doppio filo con l'arte figurativa (anche il tratto dei manga di Hokusai è pesantemente indebitato allo stile del pennello nella scrittura dei testi).
La rarefazione del tratto di Inoue non è altro che un omaggio a quella che è un'arte tradizionale e, a mio parere, di eccezionale bellezza propria tanto delle radici storiche del suo Paese quanto di quelle di tanti suoi personaggi: Musashi stesso studiò lo zen e divenne in tarda età pittore e maestro calligrafo; Takuan Soho fu un monaco zen realmente esistito...
Tra l'altro Yoshikawa scrisse Musashi in un periodo delicato della storia del Giappone, in cui si profilavano all'orizzonte le guerre mondiali e il Paese tendeva con tutte le sue forze e con velocità impressionante ad industrializzarsi e ritagliarsi un proprio posto d'onore tra le potenze dello scacchiere internazionale. Era un periodo in cui si creò a forza e velocemente un'unità nazionale cementata attorno a valori antichi e alla riscoperta delle radici della cultura nipponica.
Addirittura Yoshikawa fu pure mandato in Cina come corrispondente dal fronte, per dire.
Il fatto che anche Inoue, nella sua rilettura dell'opera la contestualizzi e nell'epoca Muromachi, e nell'era Meiji, quella in cui l'opera è stata redatta per la prima volta, omaggiando questi particolari momenti storici con chicche e sfoggi di cultura ed erudizione, non è roba da poco!
Ripeto, mi rendo conto che senza le adeguate conoscenze pregresse possa dare una certa impressione... però dai, fino a un certo punto. Che se dai un'occhiata ai due artbook che Inoue ha realizzato per Vagabond ritrovi l'opera di un artista visivamente eccezionale.
Inoue per questo manga si sta inventando veri e propri pezzi da museo. Spiace che la gente non li riconosca e li etichetti come spazzatura addirittura...



So che dopo questo papiro continuerai ad avere la tua opinione e non sarà certo questo che ti farà apprezzare Vagabond se non ti è piaciuto. Ti stimo per questo, perchè sei uno dei pochi a pensare con la propria testa.
Però te lo giuro, ti stai perdendo qualcosa!
Ricordi quando io ero inorridito dal primo arc di Jojo e tu mi desti del pazzo e mi dicesti di tenere duro e continuare? L'ho fatto e ora Jojo mi piace.
Tentar non nuoce, leggiti le scan quando finisce e sappimi dire se lo rivaluti almeno un po' ;)


giovedì 23 maggio 2013

Superior Spiderman 10 numeri dopo

CI SONO GLI SPOILER
Cinque mesi e dieci numeri dopo l'esordio di Superior Spiderman traiamo qualche conclusione in più.
Dan Slott non è un bravo scrittore, e ne ho avuto la conferma.
Grant Morrison è un bravo scrittore, Neil Gaiman è un bravo scrittore.
Dan Slott no. La sua run sta dimostrando alti e bassi, e ha i suoi momenti che punta troppo al sensazionalismo, forse un po' troppo gratuito.
Intendiamoci, continuo a seguirlo, e con una certa impazienza, perchè comunque la storia prende e di numero in numero si impossessa di te la smania di sapere come va a finire, e che succede dopo.
Per cui si, da questo punto di vista è riuscito.
Dove non mi ha convinto?
Non saprei dirlo con precisione. Più che altro si tratta di una sensazione di fondo.
Nel numero nove c'è stata l'"ultima" lotta tra Peter Parker e Doc Ock nella testa dell'Uomo Ragno, la cui posta in gioco era la supremazia sul corpo dell'eroe.
La battaglia si è conclusa con Parker annientato e Ock col corpo di Spiderman finalmente tutto suo, ma senza più i ricordi della vita di Peter.
Possiamo dire quindi che nei primi nove numeri della run ci sia stata narrata una situazione di stallo, di assestamento, in cui l'orientamento delle storie non era ancora del tutto chiaro e univoco e quindi è anche difficile prendere una posizione.
Da questo numero dieci in poi è possibile che qualcosa cambi: i giochi sono fatti e non si torna indietro, e il comodo espediente di Peter dietro le quinte pronto a tornare al primo momento buono in caso la gente non gradisse ce lo siamo lasciato alle spalle.
E onestamente devo dire che la sensazione di fondo di cui parlavo prima stava proprio in questo... dopo nove numeri che continuava a succedere poco e niente stavo cominciando a stufarmi.
Qualcuno mi dirà che non è vero che non sia successo nulla in questi nove numeri... bè, in effetti i momenti interessanti ci sono stati, ma sono riassumibili a tre, fondamentalmente:

-Spiderman pesta a sangue Screwball e il socio perchè lo hanno preso in giro.
-Spiderman uccide Massacre sparandogli in una stazione gremita di persone dopo che il criminale si era reso protagonista di una carneficina.
-Spiderman si inimica tutti i Vendicatori tranne la Vedova Nera.


Effettivamente non è roba che possa passare inosservata nel fumetto dell'Uomo Ragno, ma quello che intendo con "stavo cominciando a stufarmi" è che in fondo tutte e tre le cose rientrano nel leit motiv, lasciatemi dire anche un pochino scontato, dell'antieroe, del supereroe cattivo.
Doctor Octopus diventa Spiderman, giura di difendere la giustizia, lo fa a modo suo quindi da cattivo psicopatico e risoluto.
Ogni numero fino al nove si è svolto nella stessa maniera, con Spiderman chiamato a sconfiggere un criminale, ogni volta con metodi sempre più violenti scivolando fino all'omicidio passando per la vendetta, e qualche volta a rimettere in discussione il suo modo di vedere il mondo.
Bello.
Ma dopo nove numeri comincia quasi a serpeggiare l'impressione che l'autore non abbia ancora ben deciso che impronta precisa dare alla serie e ti sembra che stia facendo un po' il pesce in barile.

Highlights della serie, sicuramente gli appuntamenti di Peter con MJ, la parlata aulica e sprezzante di Ock nel corpo di Parker (che non vedo l'ora di scoprire come la renderanno in italiano), la violenza gratuita, gli spunti di riflessione sull'etica, su cosa sia giusto e cosa sbagliato.
Questo Spiderman non si può dire che sia un criminale: ha un suo particolare senso della giustizia, e provi una sensazione di straniamento quando ti trovi ad essere d'accordo con lui (specie nel caso di Massacre) pur avendo chiara in testa la convinzione che quello che sta facendo è decisamente eccessivo, sbagliato.

I bassi invece li ritrovi in una certa semplicità, quasi faciloneria, nella scrittura di Slott.
Per carità, è bella questa sfumatura di Spiderman, ma non aggiunge niente di nuovo ad almeno un altro paio di aracnidi violenti in circolazione nell'universo Marvel al momento.
Doc Ock nel corpo di Spiderman = Spiderman cattivo era una cosa un po' troppo banalotta, ma confido che dal decimo numero in poi le cose si complichino un pochino. E' comparso Goblin come cattivone e voglio vedere come si rapporterà Ock/Spiderman all'amico/nemico per eccellenza.
Ho trovato geniale la trovata di Peter che torna all'università, e si ritrova come professore un vecchio compagno di corso inetto di Octavius: una situazione del genere offrirebbe infiniti siparietti comici e darebbe più spessore alla vita di un personaggio così particolare come un cattivo a cui viene data una seconda possibilità. Invece la cosa non viene minimamente approfondita e la relazione con Anna Maria, tutor di Peter, nemmeno.
Altri bassi li ritrovi ogni volta che cercano di rimarcare che Octavius è un genio e poi invece si lascia andare a moti istintivi comportandosi come il più idiota degli idioti: è una grossa ingenuità, e la stai facendo commettere a quello che solo una ventina di numeri fa aveva trovato il modo di chiudere o aprire a comando il buco nell'ozono tenendo sotto scacco l'intero pianeta e sacrificando pedine umane con la freddezza di un giocatore di scacchi; lo stesso tipo che con altrettanto self-control, dieci numeri fa pur essendo in punto di morte è riuscito a uccidere Peter Parker.
Poi rischia di mandare a puttane la sua identità segreta per fare brutto a dei bulletti...
Vette di bassezza vengono altresì toccate ogni volta che disegna Ramos. Fatevene una ragione, non è capace. Mettetelo a disegnare qualche serie di terze reclute semisconosciute degli X-Men va, non l'Uomo Ragno. Non è bravo.

In definitiva Spiderman è davvero superiore?
Si, a suo modo.
E' meno idealista e più pragmatico: se si dovesse trovare a scegliere se salvare MJ dall'incendio divampato nel suo club e catturare un pericoloso latitante, sceglie la seconda, e a mettere le pezze alla prima ci manda i pompieri che è compito loro, giustamente.
Ha sviluppato una tecnologia tale da riuscire a tenere sotto controllo gran parte della città dal divano di casa, tramite robottini e applicazioni per smartphone.
Poi è anche abbastanza coglione da attaccare briga coi Vendicatori e lasciarsi andare troppo all'istinto, però indubbiamente è uno Spiderman più efficiente del precedente.

La serie è bella?
Si, indubbiamente continuerò a seguirla a meno che non succeda qualcosa di seriamente deludente.

In ogni caso continuo a pensare che questo cambio di rotta non possa durare poi molto: la mia umile previsione è che in vista dell'uscita del secondo film di Amazing, sul fumetto le acque si smuoveranno di nuovo... staremo a vedere!

mercoledì 22 maggio 2013

Naruto - spoilers - capitolo 631

Riaccendermi l'entusiasmo con due pagine.
Naruto fa anche questo.
Ti stupisce ancora dopo anni di alti e bassi, robe prevedibili, robe prolisse.
Però è bello Naruto. Ma proprio bello bello.
Evvai che si corre verso il grandioso finale.





martedì 21 maggio 2013

The Name Of The Doctor

E va a finire anche questa settima stagione del Dottore, che personalmente ho adorato.
La mia reazione alla puntata è stata tipo

SAGBRFASKJNCAòEASNDVBSòJNDVBHFBVHSBJLAJNCDKJXNSAJLBVHBFLKSNVCVCDSAHDBCJNCXLKJNCKJNSFHBVHBREDCVCVCVCDSAHDBCJNCXLKJNCKJNSFHBVHBREDCVCBBSKDHVBFLSIBNCHBDBVSLJLJSAHBVKJDFVKCHBASCHDVJHDBSLACNSHDBVLDSANCJDKJHFHHRLSBACVCVCDSAHDBCJNCXLKJNCKJNSFHBVHBREDCVCBBSKDHVBFLSIBNCHBDBVSLJLJSAHBVKJDFVKCHBASCHDVJHDBSLACNSHDBVLDSANCJDKJHFHHRLSBACDBJHDBSJKAVBHLBSLDBJHDBSJKAVBHLBSLBBSVCVCDSAHDBCJNCXLKJNCKJNSFHBVHBREDCVCBBSKDHVBFLSIBNCHBDBVSLJLJSAHBVKJDFVKCHBASCHDVJHDBSLACNSHDBVLDSANCJDKJHFHHRLSBAVCVCDSAHDBCJNCXLKJNCKJNSFHBVHBREDCVCBBSKDHVBFLSIBNCHBDBVSLJLJSAHBVKJDFVKCHBASCHDVJHDBSLACNSHDBVLDSANCJDKJHFHHRLSBACDBJHDBSJKAVBHLBSLCDBJHDBSJKAVBHLBSLKDHVBFLSIBNCHBDBVSLJLJSAHBVKJDFVKCHBASCHDVJHDBSLACNSHDBVLDSANCJDKJHFHHRLSBACDBJHDBSJKAVBHLBSLNCHBDBVSLJLJSAHBVKJDFVKCHBASCHDVJHDBSLACNSHDBVLDSANCJDKJHFHHRLSBACVCVCDSAHDBCJNCXLKJNCKJNSFHBVHBREDCVCBBSKDHVBFLSIBNCHBDBVSLJLJSAHBVKJDFVKCHBASCHDVJHDBSLACNSHDBVLDSANCJDKJHFHHRLSBACDBJHDBSJKAVBHLBSLDBJHDBSJKAVBHLBSLBBSVCVCDSAHDBCJNCXLKJNCKJNSFHBVHBREDCVCBBSKDHVBFLSIBNCHBDBVSLAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAARGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGHHHHHHHHURGLE.

No, davveDSIBVSLFBANKJD.NCKJAS,ND.

Giuro.

BOOM. Sono esploso.

Puntata bellissima, forse la più bella puntata del Dottore che mi sia mai capitato di vedere. Bella perchè la storia è forte e regge benissimo, bella perchè nostalgica, bella perchè epica, bella perchè lirica, malinconica, bella perchè alcune domande trovano risposta e bella perchè altre domande nascono, assieme a un nuovo inizio.
E bellissima perchè Moffat ci ha trollati tutti. Ancora.

Bè, non c'è molto altro da dire oltre questo. Lagrime dulci nel rivedere tutti i Dottori: la prima scena con Clara che parla al Dottor Hartnell e lo zoom che si riduce e ti sbatte in faccia che sei su Gallifrey ti fa saltare la testa.
Lagrime dulciamare per quel bacio bello bello che il Dottore dà a River.
Lagrime che non fai in tempo a metabolizzare che parte la bestemmia sul finale.

Ritmo perfetto, colpi di scena perfetti, recitazione perfetta, Doctor Who si riconferma la miglior cosa là fuori. Punto.

E ora passiamo a qualche fatto simpatico.


Tipo questo, che è Matt Smith, il nostro undicesimo Dottore. Pelato come Crilin. E palestrato.
Grida di rabbia astio e rigetto!
Ha preso la tonsura per fare il suo debutto a Hollywood nella parte dello zingaro delle giostr...hemm... del cattivo in How To Catch A Monster.
Il Dottore senza ciuffettone e senza fisico a stecca un po' fiappo non è il Dottore, avranno pensato in tanti...
Sappiate che ad agosto iniziano le riprese dello speciale di natale e Matt è così. Avremo un Dottor Matt, rigenerato in Dottor Eccleston?



 Si, non ho potuto fare a meno di notare la somiglianza col rumeno/bosniaco/quelcheè di gta.


E lui, questo attore che io gli ho sempre dato dell'inutile faccia da pesce è Ryan Gosling, che ultimamente in America fa furore, che mo ha deciso di mettersi dietro la cinepresa e si, insomma, è lui il responsabile della tonsura di Matt Smith: giocateci a freccette coi coltelli dello chef Tony.



E poi c'è il troll definitivo. Questo.


Che per inciso è il mio professore di Giapponese Classico.
Ho scoperto il nome del Dottore: si chiama Aldo Tollini!



Della Carne dell'Incanto del Sogno e dell'Età Sottile


Questa nasce come la recensione de L’Età Sottile, ultimo libro di Francesco Dimitri.
Però cresce come altro.
Mi sembra doveroso parlare prima di Francesco Dimitri che della sua creatura.

Francesco Dimitri è uno scrittore di talento, un mago, un amico.
Lui forse non lo sa, ma fondamentalmente per me prima di tutto è un amico.
E non uno a caso.
Sai quell’amico che ci cresci insieme, perché ti ritrovi a passarci quell’età sottile che ti accompagna in quella macchina di una catena di montaggio dentro la quale ti trasformi da bambino a uomo, che la gente chiama liceo?
Ecco, lui.
Allora vi racconto anche un po’ di me.
Al liceo eravamo sempre noi tre, Riccardo Rossi, Francesco Dimitri e io.
Francesco non è che proprio c’era c’era, con la sua tuba e il suo sorriso che ti scalda il cuore. C’era si, in una forma non fisica, ma non per questo meno vitale e basilare.
C’era sotto forma di libri.
Riccardo Rossi è l’unico ricordo che mi rimane del tempo passato nella sezione A del mio liceo classico.
Lui e le sue stranezze, lui e i suoi scatti, lui e il suo essere schivo. E’ stata la prima persona che conobbi il primo giorno di scuola: esordii “ciao come va, anche tu qui per il classico?”, lui rispose da dietro i suoi immancabili occhiali da sole “vaffanculo”.
Credo di averlo toccato fisicamente per la prima volta cinque anni dopo, se escludiamo le volte che abbiamo fatto finta di prenderci a pugni, e quelle che ci abbiamo provato per davvero ma tanto eravamo scarsi entrambi, quindi meglio di no.
Eravamo gli unici due della classe ad essere appassionati di rap (io americano, lui italiano) e di fumetti (io nippo-americani, lui nippo-italiani), e al sabato pomeriggio ci ritrovavamo alla stazione dei pullman e davamo vita al nostro personalissimo pellegrinaggio alla volta del Tempio delle Storie che i normali chiamano fumetteria, dall’altra parte della città, alle volte anche senza dirci una parola. Però sempre insieme come Stanlio e Ollio (io ero quello grasso) ma secondo noi più fighi.
Passavamo le giornate a fare tutto meno che quello che uno dovrebbe fare in classe.
Urlavamo, ballavamo, disegnavamo (e quanto abbiamo disegnato), scrivevamo storie, scrivevamo canzoni, studiavamo dell’altro, leggevamo libri.
E poi lui un bel giorno se ne esce con quella cosa meravigliosa che tutti i bambini sognano ma quelli che si sentono adulti, gli adolescenti, non hanno il coraggio di andare a cercare: la magia.
Tra le tante letture di magia, alchimia, sciamanesimo, arti marziali, teorie del complotto, Aleister Crowley, ecco che salta fuori Francesco.
Lo scoprì lui. I libri li comprò lui, perché all’epoca io dovevo recuperare i manga di One Piece e non avevo i soldi. Ce ne cibammo entrambi.
Per anni. E Francesco diventò uno di noi, uno a cui piacevano le stesse cose che piacevano a noi pecore nere del liceo classico della Piacenza bene.
Uno che aveva avuto le stesse esperienze a scuola: prima liceale classico frustrato, poi universitario con le ali tarpate.
Poi se ne vola, con le ali non più tanto tarpate, a Londra, e noi a sperare che la profezia Dimitri si avveri anche per la parte sul futuro.
Nel frattempo semina libri che sono capolavori. Prima saggi, poi romanzi. Che ti insegnano la vita, la fantasia, la poesia delle cose.
Francesco Dimitri è uno di noi, uno a cui piacciono le stesse cose che piacciono a noi, uno che ha fatto le stesse cose che abbiamo fatto noi, solo prima, e che gli sono andate bene.
Un amico, un maestro.
Francesco Dimitri dopo anni lo abbiamo incontrato a Torino. Ci ha fatto l’autografo sulla copia di Alice nel Paese della Vaporità, e ci siamo fatti pure la foto insieme.
Dopo siccome non ne avevamo abbastanza siamo andati a trovarlo pure a Lucca, e lui si ricordava di noi.
Al momento di fare la tesi di maturità, io scrissi un libro sul Giappone e lui molto gentilmente si propose di leggerlo, e ne scrisse un commento. Io ho un commento di uno scrittore affermato sulla tesi di maturità. Che fa strano dirlo, perché il rapporto che ho, che abbiamo con Francesco Dimitri, difficilmente è etichettabile come un rapporto fan-rockstar. A Riccardo, sempre per la tesi, ha concesso addirittura un’intervista completa.
Esce fuori che potrei andare a finire l’università a Londra? Chiedo a Francesco.
Il quale, tempo un giorno, mi ricopre di informazioni su prezzi, abitazioni, lavoretti.
Non ne sono certo, ma non credo che sia una cosa da tutti.
Francesco Dimitri è quell’autore che nella guerra dell’editoria sta dalla parte del suo pubblico: appoggia la pirateria laddove possa permettere ai lettori di entrare in possesso delle sue storie, rese irreperibili da politiche editoriali fallimentari. E’ pragmatico, lucido. E’ quel tipo che quando esce il libro in edizione cartacea e ebook ti viene da chiedergli quale faccia arrivare più soldi alla sua persona, che ti piace di darglieli due soldi, al ragazzo, mica alla casa editrice. Che non lo vivi neanche come un pagamento, ma come offrire una birra a un amico, aiutare il tuo coinquilino in difficoltà ammollandogli cinque euro.
Francesco Dimitri nel suo ultimo libro cita a raffica: i suoi vecchi personaggi, Neil Gaiman, i fumetti Marvel, i Rolling Stones, Harry Potter, Doctor Who, Buffy e un quintale di altri miti della nostra età sottile.
Quando leggi un suo romanzo non hai la sensazione di essere uno che legge il romanzo di un estraneo: vivi il suo libro come un messaggio privato, la chiacchierata con un amico, ma stretto, del tuo stesso circolino, che si riferisce alle cose dando per scontato che tu le conosca, e tu però conosci cose di nicchia.
Parla al cuore.
Ed è una cosa molto, molto profonda.
Francesco Dimitri racconta di Riccardo Rossi, di me. E il bello è che non è vero, perché racconta di lui.
Ed è un mago nel farlo, considerato che se anche avessi qualche ultima reticenza nei confronti della magia, bè, lui la demolirebbe.
Francesco Dimitri è un amico, di cui vado orgoglioso; è un amico che scrive dei libri fantastici, dei capolavori.
E questa volta, con “L’Età Sottile” l’ha fatto di nuovo.
Grazie Francesco, per le tue storie, per le nostre vite che hai contribuito a plasmare (per il meglio), e.. bè, per tutto il pesce.

E adesso via alla recensione del libro.




“L’Età Sottile” è un capolavoro. E fin qua, mi sembra quasi di ripetermi.
Parla di magia in modo realistico, coi piedi per terra.
E’ un po’ romanzo di formazione, un po’ manuale di magia, un po’ prova per i poco convinti e un po’ buon romanzo e basta, per gli scettici tanto scettici da non credere all’ovvio.
E’ il ritratto più accurato dell’adolescenza che io abbia mai visto. Meglio di qualsiasi trattato di insegnanti, filosofi, sociologi, moccia (e che te lo dico a fare).
Restituisce il giusto peso alle passioni, alle piccole cose che in quell’età sono grandi.
Non c’è nostalgia e non c’è nemmeno la voglia di tingere di epico qualcosa che epico non è.
Però c’è un grande insegnamento: la realtà, il mondo, la società… sono tutti concetti che non devi farti imporre. Li costruisci tu. E poco importa se ciò che usi per costruire il tuo mondo lo chiami studio, magia, farti il mazzo, intelletto, bicipiti.
Potranno avere tutto di te, potranno annichilirti, potranno imprigionarti in una grigia routine per il resto dei tuoi giorni, ma non farti mai rubare la poesia, l’immaginazione, la capacità di vedere, di creare bellezza.
Il mondo è come lo vedi, e sei tu a decidere come vederlo. Questa è la più grande delle magie.
Poi se vuoi puoi lavorare sull’Avada Kedavra.
Il libro ha circa quattrocento pagine, che leggi in quattro minuti, perché la favella di Francesco è qualcosa che può facilmente essere più coinvolgente del sesso (non il sesso con la mia fidanzata, il sesso in senso lato) e ti ritrovi a volerne ancora poco dopo che Amazon te l’ha fatto arrivare.
Francesco sarebbe da mandare a fare un master da George R.R. Martin, così magari ci caccia la saga pluridecennale e difficilmente ti lascia a secco!
“L’Età Sottile” si fa leggere con l’adrenalina in circolo: provi a livello fisico sensazioni forti di ansia, mancanza del fiato, stanchezza, come dopo una corsa.
Sarà perché l’ho letto in corsa contro il tempo prima degli esami universitari.
“L’Età Sottile” è la più bella cosa che vi possa capitare di leggere quest’anno.
Senza dubbio poi è la miglior cosa ITALIANA che vi possa capitare di leggere quest’anno.
E anche solo per questo merita di essere comprato, un po’ come tutti gli altri libri di Francesco.
Leggetelo.
Non dormirete più alla stessa maniera.


venerdì 17 maggio 2013

Il Grande Gatsby - la recensione


Il Grande Gatsby in questa sua nuova incarnazione cinematografica è stato il primo film che ha reso visivamente un libro esattamente come me lo sono immaginato.
Uno di solito quando il film è tratto da un libro fa sempre i soliti commenti "che però il libro era meglio", "che hanno tagliato quella parte", "questo non c'era", "tizio era biondo"...
Insomma, mi stupisco anche io, ma mentre leggevo Il Grande Gatsby ho visualizzato lo svolgersi della narrazione esattamente nella stessa forma e nella stessa consistenza con cui si è dipanato sullo schermo.

E' fedele al libro dunque?
Si e no. Si perchè tutti gli snodi focali della storia sono perfetti e non lasciano spazio a riletture personali; sono talmente accurati da includere interi dialoghi direttamente presi dalle parole di Fitzgerald.
No perchè l'unica impronta che il regista ha voluto dare al suo film è il pretesto narrativo: la storia nasce quando Nick la racconta a un medico.
E' fedele o non è fedele al libro quindi?
E' bello, quindi chi se ne frega.

Il cast è spettacolare. Leonardo DiCaprio si riconferma come uno dei più grandi attori in circolazione, e sono contento, perchè alla generazione di quelli che come me erano piccoli quando si sciropparono l'ondata di fangirl di Leo all'epoca di Titanic, il buon DiCaprio era, educatamente, calato sul cazzo, fino a tre, quattro film fa. Invece è il Gatsby perfetto. E' lui. C'è un passo, nel libro, in cui si descrive il sorriso particolare di Gatsby, e Fitzgerald lo fa con perifrasi e aggettivi che sembrano messi alla rinfusa, ma che ti danno l'idea che quello di Jay Gatsby non fosse un sorriso ordinario.
Non riesci bene a figurartelo mentalmente, ma ti arrivano delle sensazioni, chiare.
DiCaprio mi ha fatto vedere quel sorriso. E con quello tante altre sfaccettature (l'imbarazzo, l'emozione, l'impazienza, la speranza, l'ottimismo, la determinazione) di un personaggio che dà il titolo all'opera ma che tutto sommato resta in ombra, protetto dai tanti interrogativi che continuano ad aleggiare intorno alla sua persona.
Gatsby è il tipo che più spiegazioni dà di sè, più diventa un personaggio enigmatico.
Daisy era oca e solare esattamente come me la figuravo, Tom fascista tutto muscoli e niente cervello, da buon antesignano di bulletto del liceo nella squadra di football, Myrtle me la immaginavo più racchia della gnoccolona che è nel film, Jordan è sensuale e altera addirittura meglio di quanto la immaginassi e Nick...
Sono volate un sacco di battute su Spider-Man.
Perchè Tobey Maguire resterà sempre l'Uomo Ragno, e anche un po' perchè, poveretto, ha proprio una faccia da idiota quel ragazzo, che non riesci a prenderlo sul serio quando recita: ti viene da sfotterlo.

Visivamente il film è di una potenza inaudita: botte di colori sgargianti alternati al grigiore cupo, abbondanza di tinte pastello che a tratti ricordano alla lontana certe scene di Edward Mani di Forbice, un bombardamento di stimoli visivi che restituisce una fotografia della New York ricca degli anni venti in uno stile che definirei quasi barocco.
Credo sia in assoluto il punto più forte del film, la resa visiva.
E lo dico pur sapendo bene quanto la storia sia bella e profonda; al libro mancava solo questo: una resa visiva estrosa, iperbolica, grandiosa, spumeggiante.

La colonna sonora è straniante ma azzeccata, a mio parere: artisti hip-hop e r'n'b della scena newyorkese capitanati da Jay Z hanno firmato una colonna sonora moderna, che spazia dai pezzi ballabili in discoteca a quelli con l'anima più soul (una bella cover di Back to Black di Amy Winehouse e una reinterpretazione soul di Dangerously in Love di Beyonce e Jay Z tra le altre), ma tutti legati da un leit motiv jazz, che dà vita ad una strana ma godibile ibridazione.
Sono pezzi che catturano lo spirito dell'epoca e lo reinterpretano in salsa moderna: è un nero che suona la tromba sulla scala antincendio mentre in sottofondo c'è l'ultimo tormentone del club.
Incredibilmente la cosa non stona.
Ma so che qualcuno storcerà il naso.

Quindi è un bel film insomma?
Certo che lo è. E dirò di più.
Verso la fine del film c'è una scena in cui Nick cammina su un pontile e fissa una luce verde al di là della baia.
Il colpo d'occhio di quella breve sequenza, con una fotografia così perfetta, dei colori così perfetti, un'atmosfera così perfetta, mi ha fatto pensare nell'arco di un istante a tutta una serie di film sugli Stati Uniti degli anni 20, dal Padrino a C'era una volta in America, che poi sono quei film che guardi e riguardi perchè sono entrati a far parte dell'immaginario collettivo; perchè sono capolavori.
Ecco, credo che questa incarnazione cinematografica de Il Grande Gatsby potrà un domani essere iscritta in questa peculiare categoria di film, di quelli che probabilmente riguarderei fra venti, trent'anni.

10 su 10. Non ho mica niente da recriminare, io, su sto film.



Ps: Può darsi, ma non ne ho la certezza, che mi venga voglia di scrivere qualcosa su Il Grande Gatsby romanzo. Niente di lungo, solo un paio di impressioni che tra la lettura del libro e la visione del film mi sono venute alla mente.

Pps: Ho appena scoperto che tra Tobey Maguire e Francis Scott Fitzgerald c'è una somiglianza inquietante.
E qui ripartono le battute su Spider-Man...




martedì 14 maggio 2013

Uncanny Avengers


Numeri letti: 3 della serializzazione americana.

Dopo Avengers vs X-Men, Cap ha un tarlo in testa: non ha mai fatto abbastanza per proteggere i mutanti, nè lui, nè i Vendicatori.
Sicchè si mette in testa di fondare un gruppo di Vendicatori ibridi, mezzi vendicativi e mezzi X.
La serie sembra la naturale conclusione di AvX ma parte molto meglio.
Se il gruppo è la fusione di due anime diverse del Marvel Universe, il cattivo che devono affrontare è la sintesi del nemico di entrambe: un Teschio Rosso diventato il più potente telepate del mondo.
Per adesso la saga è avvincente, se non altro perchè vuoi vedere cosa si inventeranno gli Uncanny Avengers per contrastare un nazista col cervello di Charles Xavier: la cosa si presta a possibili risoluzioni intelligenti piuttosto che al classico Hulk che arriva e spacca.
Interessante è anche vedere come verrà sviscerato il rapporto tra Havoc (capo inesperto della task force, alla sua prima esperienza di comando) e Cap, che volutamente sceglie una posizione di sudditanza che non gli si addice.
Inoltre fino ad ora la serie è piena di discorsi interessanti che rispecchiano la visione contemporanea del potere, della politica e del marketing (in senso lato).
A tratti fastidiose le vignette-spiegone della voce fuori campo, ma ci si fa l'abitudine e possono nascondere colpi di stile.
Continuo a leggerla almeno fino alla fine del primo arc, per il gusto della novità... poi si vedrà!


Straven Guesthouse


Questa è la recensione che ho scritto su Tripadvisor per la Straven Guesthouse. La pubblico anche sullo Zuihitsu nella speranza che possa raggiungere più persone e che queste piùppersone possano a loro volta diffondere le bellezze di questo B&B tra la gente.
Ma guai allo stronzone che mi ruba la camera quando serve a me.
Saprò chi sei.
Saprò dove abiti.
Attenzione.
Ti sto guardando.
Via con la rece!!!

La mia seconda volta a Edimburgo scopro per caso questa perla: mio papà adora il mare e quindi abbiamo cercato un alberghetto nella zona di Portobello.
Straven Guesthouse è una guesthouse come se ne trovano tante nel circondario: si tratta di una classica casa inglese di quelle che popolano l'immaginario collettivo, riadattata ad albergo e gestita da due cortesi e simpaticissimi signori che vi abitano in pianta stabile, Mac e Marian.
Quello che però salta all'occhio e la distingue dalle guesthouses delle vicinanze è la cura che insieme coi piccoli dettagli, come un divanetto di vimini nell'androne e un giardino curato con fiori variopinti, la fanno risaltare in mezzo alle caratteristiche costruzioni in pietra grigio-nera di sapore un po' gotico che punteggiano il quartiere.
L'interno è esattamente come ce lo si aspettava dall'esterno, se non addirittura meglio.
Si viene accolti da una cartina della Scozia, e un tavolo ricco di depliant di ogni tipo, dalle escursioni nelle Highlands, agli spettacoli teatrali, passando per volantini di take away e orari delle funzioni religiose (non solo cristiane) nei luoghi di culto più vicini: particolari come questi rivelano la professionalità e l'accortezza con cui Mac e Marian gestiscono il B&B, e converrete che non è cosa da tutti (specialmente se si arriva da uno dei tanti alberghi londinesi gestiti da Indiani).
Assieme ai volantini c'è un pratico form da compilare, attraverso il quale si possono scegliere diverse soluzioni per la colazione, preparata con capacità dai gestori della guesthouse.
Consigliatissime la tipica colazione inglese, con uova, pancetta, pomodoro arrosto e toast, e per chi si sente più incline ad assaporare i costumi locali anche a tavola, la colazione scozzese, che consiste in salmone affumicato di produzione locale su un letto di uovo strapazzato accompagnato da toast di pane nero.
La gentilezza di Mac e Marian non si ferma qui: due mattine su tre siamo dovuti uscire presto per via di impegni che avevamo, e non potendo godere della colazione compresa nel prezzo, ci hanno fatto trovare un pacchetto a ciascuno con due brioches fresche, ci hanno preparato il caffè e ci hanno permesso di accedere al frigorifero prima dell'orario della colazione, in modo da poter bere anche i succhi di frutta.
La nostra stanza dava sul mare.
E non credo sia necessario parlare della magia di una stanza vista mare, in una fantastica casa inglese, in una città spettacolare come Edimburgo, dove il sole sorge alle 4 e tramonta alle 10.
La camera si è presentata in modo a dir poco eccezionale: moquette e carta da parati, i letti sempre puliti e rifatti, un divanetto in pelle, la tv appesa alla parete, un bagno con una doccia capiente e funzionale, la scrivania con un vassoio su cui erano riposti dei bicchieri, delle bustine di tè, delle tazze, un boiler e tre merendine.
La sala comune mi ha altresì colpito in modo estremamente positivo: nella stanza, arredata in un curioso quanto piacevole stile misto tra il classico british e qualcosa di etnico, un po' africaneggiante, un po' asiatico, si possono trovare comode poltrone e divani, una tv con lettore dvd, un lettore cd, una libreria piena di volumi e giochi da tavolo, copie di Time magazine e altro.
Facilmente raggiungibile in un quarto d'ora da Princes Street tramite i pullman 15 e 26 diretti a Portobello (fermata Joppa) la Straven Guest House si rivela una soluzione eccezionale per visitare la Scozia e nel contempo sentirsi a casa grazie al modo di fare semplice e disponibile di Mac e Marian, e costituisce una piacevole sorpresa per tutti quelli che da Edimburgo si aspettano solo colline, montagne e paesaggi a metà tra Braveheart e il Signore degli Anelli, dato che basta girare un angolo per ritrovarsi sulla bellissima Promenade (dove tra gli altri ha vissuto un giovane sir Arthur Conan Doyle).
Ho girato il mondo, letteralmente.
Sono stato diverse volte in Regno Unito, ho visto la Spagna, la Francia, l'Austria, Malta, gli Stati Uniti, il Giappone, eppure mai mi ero trovato di fronte a una bomboniera d'albergo come questa Straven Guesthouse!
Consigliatissimo.

lunedì 13 maggio 2013

Du ragni is megli' ch uan

Non so voi, ma per me che mi sono innamorato di Spider-Man col cartone animato su Solletico, quando ero bambino, questo è tipo un sogno che diventa realtà: il primo costume fatto bene, talmente bene che fa la sua porca figura anche sulle semplici foto dal set, senza montaggio nè niente.
Ripeto, non so voi, ma sono 21 anni che io Spider-Man me lo immagino esattamente così.

E dopo aver visto un TARDIS così credo nel Dottore, dopo che ho visto questo ho cominciato a credere pure all'esistenza di Spider-Man!






domenica 5 maggio 2013

Iron Man 3 e i film di supereroi



Iron Man 3 per me rappresenta uno spartiacque nel modo di fare un film di supereroi.
Il film infatti pare atipico rispetto ai precedenti due: poche scene con Stark in armatura, la mancanza di un nemico ben definito..
È un film che parla dell'uomo dietro l'armatura.
Che poi questo è il bello di un eroe come Iron Man, un malato terminale senza poteri che viene però reso invincibile dalla sua armatura tecnologica, metafora, forse, di un sognatore che si richiude a riccio nel mondo ideale delle sue passioni e dei suoi talenti che lo rendono eccezionale.
Del resto anche nel fumetto, Iron Man offre le sue storie migliori quando ci si concentra su Tony e i suoi demoni.
Ma in cosa risiede la differenza sostanziale tra questo e gli altri film di supereroi?
Bè, nel fatto che questa è la pellicola in cui si sono resi conto che quello dei supereroi non deve necessariamente essere un genere, ma un contenitore di generi.
(Onor del vero, il primo tentativo furono gli ultimi due Batman di Nolan, a mio avviso riusciti a metà).
Un tempo il fandom gridava alla fedeltà al fumetto, bravo stupido, e per via della diversità abissale tra i due media, l'unica cosa che ha ottenuto è stata una serie di film fatti con lo stampino dove cambiava solo il protagonista, e conseguente sdegno.
La linea migliore da prendere coi supereroi al cinema invece secondo me è quella di catturare l'essenza dell'eroe e inscriverla in un film di genere.
Per esempio Spidey si presterebbe a film adolescenziali vista la sua giovane età e l'appeal che ha sui più giovani; Cap invece è un personaggio che potrebbe essere protagonista di un film di guerra o spionistico, tipo Fullmetal Jacket o 007: è un soldato, ma anche un simbolo, potrebbe combattere i terroristi o portare a termine missioni in cui qualsiasi altro soldato fallirebbe; Hulk, per quanto ottuso, sta bene in un film introspettivo che ne analizzi la psiche: un po' Dottor Jeckyl e mr Hyde; Thor invece è un dio, e in quanto tale sarebbe bello approfondire la sua vita di Asgardiano piuttosto che di supereroe: mi piacerebbe vederlo roteare il martello in avventure fantasy di ambientazione vichinga o in mondi come la Terra Di Mezzo, tra castelli abbandonati, draghi e possenti guerrieri!
Iron Man 3 è un film d'azione, un po' tipo quelli che danno su rete4... Die Hard o Arma Letale per intenderci, o quelli coi vari Van Damme e Segal.
E il protagonista è un supereroe.
Piaciuto, anche se la scenetta post-titoli di coda è la peggiore da quattro/cinque film a questa parte.
Piaciuto.
Tanto.

mercoledì 1 maggio 2013

Journey to the centre of the TARDIS


Un anno e mezzo che tengo il blog e non avevo ancora mai parlato in modo diretto di Doctor Who.
E' troppo grande, troppo massiccio, troppo totale, troppo epico per me, per essere affrontato direttamente.
Mi mette quasi in soggezione.

In questa sede non voglio parlare del Dottore in sè, della serie, di cosa rappresenta.
Si tratta semplicemente di una mia considerazione su una di quelle puntate che uno aspetta, che dopo arriva ed è proprio bella bella come l'aspettavi.

Il personaggio Dottore ha dei misteri: il nome, la famiglia, cosa ha fatto nella Time War, la sua astronave.
Dopo 50 anni di vita televisiva pare che qualche mistero si siano decisi a svelarlo.

Non sempre è un bene.
I misteri del Dottore, dopo 50 anni, sono diventati parte integrante del suo personaggio, e di fatto contribuiscono a renderlo il triplo più interessante per cui non sono sicuro che qualcuno vorrebbe realmente vederli svelati.
Lo spettatore è interiormente combattuto tra la curiosità di conoscere il nome del Time Lord e l'idea che tanto dopo che uscirà fuori che succederà?! Niente. Il Dottore resterebbe lo stesso il Dottore, ma con un mistero in meno.

Di fatto si oscilla tra il voler sapere e il non voler sapere...

In questa puntata ci spiegano il TARDIS.

E il colpo di genio sta nel fatto che ce lo fanno vedere, ma in fin dei conti a fine puntata non hai niente di nuovo rispetto a quello che del TARDIS sapevi prima.
Lo spettatore è un sacco contento, i misteri rimangono misteriosi, il Dottore continua a brillare nel suo alone di segretezza (come dice lui stesso, i segreti ti mettono al sicuro!).
Ti hanno fatto contento e fesso, non era facile, sono stati eccezionali a riuscirci.

Per il resto la grandezza di questo episodio sta nell'atmosfera amarcord per grandi e piccini.
Tantissimi sono i rimandi a frasette buttate qua e là, personaggi, storie e topoi del Dottore: la biblioteca, la piscina, l'enciclopedia di Gallyfrey in versione liquida, la culla di River, la lente di ingrandimento, il telescopio di villa Torchwood...
Per non parlare poi delle registrazioni audio delle voci dei vecchi Dottori, roba che i fan ci si esaltano duro, specie quelli che col Dottore dei 60-70 ci sono cresciuti.

Ottimo il meccanismo di gestione del tempo nell'episodio: mi ha ricordato il primo della terza stagione, di quelli in cui succedono cose insensate nella prima metà dell'episodio, i fili delle quali si ricollegano a determinati avvenimenti successivi che influenzano il passato.

Una delle vette della stagione, tanto fanservice, tanta bellezza e tanta poesia.

Ah, e il librone sulla Time War, bello messo sul suo piedistallo come una prima ballerina sul palcoscenico, è la classica pistola che se si vede prima o poi deve sparare.
Ergo (come ho sempre sperato) credo che prima o poi vedremo uno speciale o qualche puntata sulla Time War e quello che è successo di preciso... forse...

Londra città nerda

Alla quarta volta che torni a Londra il grosso della roba da vedere l'hai vista.
Ora ho un blog, e ho pensato, perchè non raccontare del mio viaggetto?
Mi sono risposto che, funcoolow, non ne ho voglia, e quindi mi sono inventato sta cosa di lasciar parlare le immagini.
Ma mica tutte, no.
Solo quelle nerdone, buone per far schiattare di invidia gli amici che sono rimasti a casa a sentire di sparatorie a Montecitorio e ministri negri.

Oh, ma con amore eh ;)

Ps: Alcune cose sono entrate a far parte della mia vita dall'ultima volta che ero passato per Londra: ho iniziato a guardare Doctor Who, ho smesso di leggere libri in italiano e mi sono lanciato a pesce sulla letteratura inglese in inglese e bo, si, un paio di altre cose.

Facciamo partire il filmaggini

London Eye: sotto c'è la Coscienza di Nestene

Battersea Power Station, luogo di nascita dei Cybermen nonchè copertina di Animals dei Pink Floyd

Pagoda giapponese lungo il Tamigi, finanziata dagli industriali nipponici. Ah, sulla sponda opposta ha casa Mick Jagger.

Richmond. Incredibile come quella cloaca che è il Tamigi in mezzo a Londra diventi un fantastico fiume di campagna verso nord. Talmente fantastico che navigando le sue acque vedi nell'ordine
A) Casa di William Hartnell, primo Dottore
B) Casa di David Gilmour (una barca)
C) Altra casa di Jagger (nella foto)

Mormoni bionici negri che ridono. Cosa ci troverà mai da ridere nell'essere mormone... 
L'MI6, sede dei servizi segreti di Sua Maestà. 007. in Skyfall salta in aria. E' lui.

Il Mitsukoshi, centro commerciale giapponese, che ti ci vai a comprare le cose giapponesi. 

Certe metropolitane con più stile delle altre

Le mattonelle di certe metropolitane con più stile delle altre

IO: Din don...

DENTROCASA: Chi è?
IO: ah, scusa ho sbagliato numero...

La metro più antica di londra ha 150 anni. Come lo Stato in cui sono nato. Quando si dice essere avanti..

Un fantastico libraio di articoli d'antiquariato in tutto e per tutto simile a Hugh Grant in Notting Hill in vetrina aveva questo.
Non solo il gentilissimo libraio mi disegna una cartina per arrivare da una certa parte, ma mi spiega anche che se tanti articoli da collezionismo come giocattoli di Doctor Who Tom Baker dei '70 li trovo in scatole scritte in italiano è perchè un tempo tentarono un lancio di Doctor Who in Italia ma l'Italia non se lo cagò e ora quei giocattoli valgono a partire da 200 sterline l'uno e stanno rientrando tutti in Inghilterra per la gioia dei collezionisti d'oltremanica.
Sempre detto io che in Italia non capiamo un cazzo.
Citazione epica: di fronte al mio stupore per il prezzo del Dalek di plastica, Hugh Grant mi dice:
"FOR WHAT IT IS, I'D LIKE TO THINK IT'S CHEEP INDEED".
Fatelo santo.

Benvenuti...

... al sancta sanctorum...

... della nerdaggine...

... mondiale ...

... (questo è puro fanservice per la morosa che sostiene Daenerys)...

... intuttiluoghintuttilaghi ...

Forbidden Planet. Foto all'interno non ne ho fatte. Andateci se poteteci.

I manifesti del museo del cinema a Londra 

The Shard, il nuovo grattacielo di Renzo Piano, presente nel primo episodio di mid season del Dottore

Ah, si, e poi c'è lei.
Ed è vera.
L'ho toccata.
C'è speranza.
<3