mercoledì 26 giugno 2013

And still counting...

Godbreaker di Luca Tarenzi è un bel libro urban fantasy italiano. Presto potrebbe arrivarne la recensione. E' molto bello, leggetelo. Nel frattempo leggetemi la mia fanfiction totmila anni dopo la fine del romanzo, che serve per un concorso.

Luna di Urano Oberon, anno 5918

Sembrava in tutto e per tutto uno di quei fumosi locali malfamati del sud degli Stati Uniti come li vedevi nei vecchi film: un posto angusto con un lungo bancone, scaffali con bottiglie di ogni foggia contenenti sogni e deliri di ogni tipo, un tavolo da biliardo e una rissa al giorno.
Il bancone però non era di legno: Oberon non aveva nemmeno la minima idea di che faccia avesse, un albero.
Si chiamava Holyday e qualche buontempone si era divertito a mascherare la d dell’insegna luminosa con una g di plastica, ironizzando su quanto il bar fosse deprimente.
Sembrava in tutto e per tutto uno di quei fumosi locali, salvo il fatto che al posto dei mandriani coi camperos e dei bluesmen con la chitarra, l’avventore medio aveva la pelle blu o verde e veniva da altri mondi, che avevano altri dei.
Quella volta all’Holyday c’erano cinque persone: quattro giocavano al biliardo, e una era seduta al bancone pasteggiando con whisky terrestre e una barretta di un allucinogeno sintetizzato su Alpha Centauri, come se fosse davanti a una cena a base di caviale in compagnia di un bel pezzo di donna.
L’uomo seduto al bancone faceva letteralmente a cazzotti con l’ambiente circostante, coi suoi boccoli perfetti lunghi fino a mezza schiena e il viso pulito, accuratamente rasato, che non mostrava evidenti segni d’età, però nessuno lo prese seriamente in considerazione.
Solo il padrone della baracca lo fissò da dietro al bancone quando lo vide entrare, e pensò che l’affare che gli pendeva dal fianco, così ricurvo e luccicante com’era, aveva tutta l’aria di essere un frammento della tavoletta del cesso del modello in dotazione alle navi cargo della Federazione Terrestre che lui conosceva bene, come diceva a tutti gli avventori abbastanza annoiati da starlo a sentire, perché quando era giovane anche lui aveva fatto il marinaio, e aveva perso una gamba durante un arrembaggio di tecnobarbari e bla, bla, bla.
Di tutto ciò però quella volta non disse niente.
Pensò che uno che se ne andava in giro con un pezzo di cesso nella cintura doveva essere strambo, ma erano tanti i tipi strambi che passavano di là e lui non ci faceva neanche più caso, che in un posto di frontiera come quello passa solo chi scappa da qualcosa, e tra chi scappa talvolta la riservatezza vale più di uno sciacquabudella.
Successe proprio allora, mentre il barista si stava lucidando annoiato la protesi bioelettronica che sostituiva la sua gamba sinistra.
Cominciò con un tonfo secco, quando l’uomo seduto al bancone sbattè fragorosamente il suo bicchiere sul pianale come se stesse brindando.
La mano dell’uomo però continuò a stringere il bicchiere e premerlo contro la superficie del tavolo senza intenzione di portarlo alla bocca e bere.
L’intera scena era connotata da un’impressione di tensione, e l’aria del locale, già satura di fumo, si fece più opprimente.
Il whisky nel bicchiere cominciò a tremare e nel giro di pochi secondi, a ondeggiare in cerchi concentrici.
Quella vibrazione.
La testa dell’uomo si riempì istantaneamente di così tanti pensieri da renderlo incapace di isolarli e metterli in ordine, e prima che potesse riuscirci un ghigno violento, vivo e divertito si impadronì delle sue apparentemente giovani labbra.
E subito dopo una nitida sensazione di morte si insinuò in lui.
Fu in quel momento che le porte e le finestre dell’Holyday implosero e un nuovo venuto fece la sua comparsa.
Metà del suo volto era costituita di piastre di metallo e tubi e sull’altra metà troneggiava un mohawk, il suo corpo era coperto di un’armatura di plastica e tungsteno in una foggia che ricordava quella dei samurai del Giappone feudale, la cintura era costituita di impugnature di spade laser e dietro le spalle portava due grosse pistole a raggi.
“Edwin!”, sbraitò con gli occhi –anche quello cibernetico- pieni della più genuina rabbia.
“Grazie, so come mi chiamo”, ribattè con calma l’uomo seduto, senza nemmeno girarsi e degnare di uno sguardo il soldato spaziale.
“Sono qui per prendere la tua vita!” urlò il cyborg, ancora più irritato dall’aplombe di Edwin ed estrasse all’unisono le pistole che teneva dietro le spalle e gliele puntò contro; nel frattempo emersero dal pavimento decine di tubi che affioravano e si rituffavano nella terra muovendosi come serpenti marini in direzione del bancone.
Edwin vuotò il suo bicchiere e borbottò “Ma santi cazzi, non di nuovo!”.
Si girò di scatto e scagliò con forza il bicchiere vuoto verso l’occhio bionico del nuovo arrivato velocizzando la sua azione grazie a una corrente d’aria che aveva richiamato appositamente.
L’occhio bionico andò in frantumi e questo rallentò abbastanza il soldato da permettere a Edwin di evocare la Caccia; di solito non lo faceva mai al chiuso, ma stavolta aveva altri impegni e voleva finire la partita al più presto.
Dalle ombre dell’Holyday cominciarono a prendere forma astronauti, tecnobarbari, pirati di Phobos, draghi del sottosuolo di nettuno, un uomo con un ciuffettone e un papillon, tutti accomunati da pupille ferine e tutti forieri di pessime sensazioni.
La Signora della Caccia, questa volta seminuda e con la pelle verde, tipiche sembianze di una regina amazzone di Fedos, ordinò di estirpare i tubi dal terreno: quello coi tubi era un patto molto in voga tra i pirati spaziali, perché permetteva di controllare le macchine ed eventualmente di tramutare gli organismi viventi in automi privi di libera iniziativa, qualora si fosse riusciti a penetrarli con i tubi stessi.
Il soldato cominciò a sparare all’impazzata e per evitare il fuoco nemico, Edwin ricorse al suo patto coi buchi neri, il quale lo fece sparire dal suo sgabello e lo fece materializzare, con la spada già sguainata, alle spalle del mancato assassino.
In un unico movimento Edwin immobilizzò il cyborg da dietro e gli premette la lama della spada contro la gola con un ghigno di morte.
Stava giusto per aprirgli in due il collo quando fu interrotto da qualcosa di decisamente inaspettato che scoperchiò il tetto dell’Holyday: un enorme mecha alto sei metri con un simbolo a doppia vu sul petto stringeva in mano il tetto di lamiera lavorata dell’edificio.
Una voce connotata da una vaga sfumatura metallica sembrò provenire dal grande robot: “Ah che cazzo, Edwin, lascia perdere quel povero coglione, sei in ritardo all’appuntamento e sono venuto a cercarti!”.
L’uomo era seccato per essere stato interrotto, ma intuì, sorrise e si smaterializzò per lo stupore dei pochi superstiti.
Quando riapparve, lo fece in una saletta piena di monitor con due sedili, uno vuoto e uno occupato.
“Allora, che te ne pare?” disse una voce proveniente dal sedile.
“Bè, è imponente, attira l’attenzione. L’ha costruito Weyland vero?” ribattè con interesse Edwin.
L’altro gli rispose con tono strafottente: “Da cosa te ne sei accorto? Dalla sua iniziale gigante che ha stampato sul petto di questa trappola?”.
 “Viviamo in un’epoca strana, in cui agli dei non crede più nessuno, almeno nel senso tradizionale della cosa. Ma la gente continua ad aver bisogno di segni e noi dobbiamo evolverci per darne.”
“Segni? Quali segni? In ottomila anni gli unici segni che ho dato agli umani sono stati le mie firme sugli assegni!”
Edwin rispose in tono monocorde: “E chi ha mai detto che voglio fare il messia! Io parlavo di segni della nostra esistenza. Se gli umani smettono di credere nella magia e negli dei, arriveranno alla conclusione che sono soli al mondo, e mi starebbe sul cazzo se diventassero più superbi di noi!”
“Porca puttana se sei proprio mio figlio! Dì, ma chi era la testa di cazzo di prima?”
“E io che cazzo ne so, poteva essere mio figlio..”
Ci fu un attimo di silenzio, poi bevvero, ed entrambi risero. E le loro risate sguaiate e divine risuonarono per molta parte dell’universo, nei secoli dei secoli.
Amen.





lunedì 24 giugno 2013

Qualche riflessione su Man of Steel



Quella che segue è un mio commento al post di Roberto Recchioni su Man of Steel.
(Rrobe invece di scrivere la recensione del film ha recensito il primo Superman cinematografico con Christopher Reeve e a fine post ha detto che Man of Steel semplicemente faceva cagare.)
Appartiene a quella serie di post di "mi piace quello che ho scritto, lo voglio tenere".
E quindi eccolo qua, il mio pensiero:



Ok, tu magari no, ma io per esempio non ho letto la recensione di Man of Steel nel post...
ho letto la recensione di un altro film, vecchio.

Non è la prima volta che Rrobe ricorre a questo espediente per esprimere il suo disgusto.
Solo che per me la cosa è sterile.

E lo è in primis, perchè "vecchio è bello" non è un assioma che tiene sempre. I gusti si evolvono, la tecnologia progredisce, tutto si trasforma.

In secundis perchè a voler continuare a confrontare le cose non ce le si gode: insomma, mica che Artemisia Gentileschi vale meno del Caravaggio perchè è caravaggista.

Ti dico, io sono un fan numero uno di Doctor Who, che peraltro credo essere la cosa migliore mai trasmessa dalle tv del pianeta.
Doctor Who compie 50 anni a novembre, e l'essenza dello show è il cambiamento, l'eternità attraverso la transitorietà.
Motivo fondamentale del perchè può fregiarsi di 50 anni di storia and still counting.
Sono talmente innamorato della serie che oltre alle stagioni recenti, mi sto guardando anche quelle vecchie, in bianco e nero, dagli anni 60 in poi.
Sono belle, ma non mi viene da dire che siano meglio di quelle odierne solo perchè sono vecchie.
E te lo dico da fan.
Sono lente, molto lente.
Per me hanno il loro fascino indubbiamente, e nonostante la lentezza mi piacciono. Ma volendo essere onesto con me stesso guarderei quattro volte la stessa puntata con Matt Smith piuttosto che sciropparmi più di una volta una puntata del 63 con William Hartnell.

I gusti cambiano, e sta a noi saperci adattare.
All'epoca del Manzoni gli intellettual(oid)i italiani discutevano del teatro in termini di fedeltà alle unità aristoteliche mentre in Inghilterra due secoli prima già avevano avuto Shakespeare.
Insomma, se non ti aggiorni e non stai al passo resti una vecchia cariatide arroccata sui tempi che furono, almeno secondo me.

Per intenderci, penso che una volta settati i nostri gusti su quello che c'è oggi non troveremo più molto di cui lamentarci...
Lo stesso discorso di Starbucks: cominci ad apprezzare Starbucks quando decidi che non entri da Starbucks per un espresso, ma per un frappuccino.
Bada bene che non sto parlando di accontentarsi.
Io sto dicendo che bisognerebbe essere consapevoli di cosa cercare.
Io per esempio in questo film cercavo un Superman possente, un design quasi etereo, degli scontri mozzafiato e un crescendo epico.
Ho trovato quello che cercavo? Si.
Il film mi è piaciuto.
Cercavo una bella storia?
Si e no. Si sa già che nel primo film del franchise di un cinecomic metà film se la mangia la genesi del supereroe, e la nascita di Superman la conosciamo tutti, quindi dai, non credo che seriamente qualcuno contasse di vedere qualcosa di nuovo o mai visto.
I film sui supereroi sono oggi quello che per la generazione di mio papà furono i western ieri.
Un genere, degli stilemi ferrei e inamovibili, trame lineari, pellicole che ne hai vista una e le hai viste tutte.
Il valore aggiunto, la cosa che ti spingeva a guardare un western piuttosto che un altro era quell'attore lì, quel regista là...
Infine, come tutti i generi, anche il western ha avuto le sue parentesi autoriali e i suoi capolavori (e che capolavori).
I film di supereroi non sono molto diversi: quello che ti spinge a guardare un film di supereroi piuttosto che un altro è quell'attore lì (in quel costume lì, con quei poteri lì), quel regista là; poi ci sono le parentesi autoriali (Batman, sia di Burton che di Nolan), i film che hanno osato un po' di più (Iron Man 3), e i suoi capolavori (questa poi è una voce personale, ma per me i primi due Spider Man, e i Vendicatori per esempio non si toccano).


Ps: fra 20 anni, i ragazzini che hanno 14-16 anni adesso probabilmente ricopriranno di un'aura di sacralità indiscussa questo Man of Steel, e il prossimo Superman cinematografico lo copriranno di merda perchè non è come Man of Steel. E' la ruota che gira.

Pps: conosco sia appassionati di fumetto, sia spettatori occasionali che hanno visto e apprezzato il film senza tante manfrine sui buchi di sceneggiatura... il mondo è bello perchè è vario a quanto pare...

sabato 22 giugno 2013

Man of Steel - la recensione


Man of Steel è una figata. Magari non un capolavoro, però mi è piaciuto. Ma tanto tanto.
L'intento era quello di prendere un supereroe come Superman, vecchio, ingenuo, quasi onnipotente e forse per i più superato, e renderlo appetibile al pubblico di oggi.
Si trattava di svecchiarlo.
L'operazione è senza dubbio riuscita: Henry Cavill mi ha fatto dimenticare Christopher Big Jim Reeve, con la sua interpretazione da Clint Eastwood dei supereroi.
Due facce fa, il suo Clark Kent.
Ma è anche una persona con le sue turbe, che si autoreprime da una vita per non sentirsi troppo diverso, troppo estraneo. Ci sta che un paio di emozioni le abbia soppresse.

Come dissi QUA, Superman non è molto simpatico a tanta gente, perchè quasi intimidisce con la sua semi-onnipotenza.
Se è vero questo, Man of Steel ha il grande merito di rappresentare un Superman senza mezzi e senza risorse, un eroe in erba, sia nella lotta contro il male, sia nella lotta contro se stesso, senza tirare fuori la kryptonite.
Da questo punto di vista è stata geniale la scelta dei cattivi, altri Kryptoniani, geneticamente alterati per essere soldadi, quindi avversari alla pari di Superman, ma con qualcosa in più.
Cattivi-non-cattivi, se vogliamo, perchè la loro programmazione genetica possiamo vederla anche come una sorta di deresponsabilizzazione... e sono cattivi con una pars construens: non vengono per distruggere, non sono ostili. Semplicemente scoprono un sopravvissuto della loro stirpe e vogliono ricostruire la loro terra natale.


Man of Steel è un film che si muove su due direttrici principali, il caso e la scelta.
Il caso è la nascita di Kal El, primo Kryptoniano a nascere naturalmente dopo secoli di programmazione delle nascite e modificazioni genetiche volte a creare individui adatti per un determinato ruolo e solo per quello, nella società kryptoniana.
La scelta è quella dell'identità, di una morale, di un senso di appartenenza, della parte dalla quale schierarsi.
E questo Superman è pieno di dissidi interiori, non sempre è capace di prendere una scelta, e quando la prende non sempre è quella giusta.
Non è infallibile.
Sbaglia e sbaglia di brutto, è naif, è un protettore ma non sempre riesce a difendere i suoi protetti e dagli altri, e da se stesso.
Del resto è un elefante in un negozio di porcellane chiamato Terra, che improvvisamente si è trovato costretto a ricorrere a capacità che a lungo aveva represso per paura che il mondo non fosse pronto per lui.
Poi subentra anche la categoria dell'ineluttabilità, e lo fa con un pugno allo stomaco.
Del resto non è per niente una storia ingenua questa, nè è buonista.
La gente muore durante l'invasione aliena (come in Avengers..), muore male, e muore per mano di assassini che si nascondevano dove non ti aspettavi. Non ti viene risparmiato niente, caro spettatore, e questa prassi credo sia figlia dei tempi moderni, perchè anni fa il lieto fine era molto più popolare.


Il film offre il fianco a qualche critica, me ne rendo conto: tanti flashback apparentemente buttati lì, in modo pretestuoso, la presenza ricorrente del defunto Jor El, padre kryptoniano del supereroe, il mancato approfondimento dei comprimari.
In realtà, nessuna di queste cose mi ha disturbato, e anzi, al contrario le ho molto apprezzate.
Nei flashback si raccontano delle sfaccettature della personalità di Clark; è come quando parli di te a un amico che conosci da poco, e per cercare di spiegargli chi sei ricorri al racconto di quella volta là con la ex, o quell'altra volta in vacanza, oppure ancora quella volta che ti hanno cazziato per bene e compagnia.
Le scene del passato di Clark sono istantanee della sua vita: io mi immaginavo lui di fronte all'album di famiglia, che scorrendo le foto rievocava le situazioni che vi erano immortalate.
Il ricordo della morte di pa' Kent ad esempio è quello che dà l'impronta al Clark tormentato, viaggiatore in fuga da se stesso, ma soprattutto al Superman di domani, quello del senso del dovere che travalica il sè ed è più importante di qualsiasi altra cosa.
Molti si sono lamentati che la morte di pa' Kent è stupida.
Non capisco perchè.
Del resto questo è un film sul caso, ed eccetto gli alieni che volano il resto è piuttosto realistico.
E nella vita reale non necessariamente il caso ti dà la possibilità di morire in maniera spettacolare, eroica o coreografica come succede al cinema. Nella vita muori, muori e basta. Ed effettivamente è molto più facile che si muoia da coglioni, così, per una serie di sfortunate coincidenze casuali.
Sinceramente non ce l'avrei visto a lanciarsi nel fuoco per salvare una bambina e riemergere in preda alle fiamme per poi stoicamente morire in piedi.
Lo stesso vale per quello che succede nel finale.
Il fatto che la battaglia tra Superman e Zod sia spettacolare è puramente incidentale. Non è colpa loro.
Se fossero su Krypton sarebbe una scazzottata da bar, ma sono sulla terra e casualmente riescono a volare ed emettere raggi dagli occhi.
La conclusione della battaglia, però, non è spettacolare. E' scevra di ogni superpotere. E' la conclusione sensata della loro rissa da bar.

La presenza di Jor El non mi ha disturbato, e quando ci ha provato ero comunque troppo assorbito dalla storia quindi non me ne sono fatto un problema. Quando poi viene spiegata, in effetti concordi che si, ci sta.

Il mancato approfondimento dei comprimari invece...
Se ne sono lamentati tutti.
Io no.
Perchè Superman è un personaggio titanico. E' lui l'unico personaggio del film. E così doveva essere.
Superman sarà colui che spingerà nuovi supereroi ad uscire allo scoperto, li ispirerà, diventerà un simbolo.
Non c'è posto per altri, in questo film.
Non si tratta del film di Lois Lane e non si tratta del film della famiglia Kent.
E' il film di Superman, e i personaggi non sono altro che maschere, pallidi aloni funzionali all'evoluzione, alla formazione di un personaggio che nell'arco di due ore passa dalla condizione di esule, a quella di operaio, a quella di dio inesperto.
Del resto quando mai in un film di supereroi i comprimari sono approfonditi? E non se n'era mai lamentato nessuno.
Insomma... avete mai visto una fidanzata di Spider-Man in un film? Non so voi ma io no, e mi è piaciuto lo stesso.
E poi sono sicuro che se anche avessero approfondito i comprimari, rubando tempo e attenzione alla figura di Superman, la gente si sarebbe messa a strillare che c'era troppo poco Superman (Iron Man 3 dice niente?).
Come le lamentele sulla troppa azione, quando il film precedente fece fiasco perchè di azione ce n'era troppo poca.
Il pubblico è una brutta bestia, che non si accontenta mai. Fanculo, il film se lo sai vedere ti prende, e ti prende tanto, e ti coinvolge emotivamente e ti strizza e ti strapazza e ti annichilisce e ti fomenta.


Gli effetti speciali sono un'eccellenza. La resa dei poteri è esattamente come te la immagini se là fuori ci fosse un Kryptoniano a combattere le forze del male.
Un plauso a chi ha disegnato i costumi: non potevano essere fatti meglio!
E parlo tanto delle armature dei Kryptoniani quanto del costume di Superman che è di una figaggine assurda. Tentativo di svecchiamento riuscito.
E poi i combattimenti.
I Combattimenti.
Mamma mia l'emozione di vedere come sarebbe stato un film di Dragon Ball se l'avessero fatto bene.
Non ho mai visto combattimenti del genere e probabilmente non ne rivedrò per un bel po', ma la maestria nella gestione dei movimenti, la regia pulita e per niente caotica anche quando sarebbe stato difficile farti capire cosa stava succedendo...
Oh mamma.
C'è anche Superman in posa da Saiyan nella foto sopra!
Mai visto niente di simile: le scariche di pugni, la supervelocità come se fosse un teletrasporto, il volo e gli scontri aerei, qualche vago accenno di arti marziali (sicuro Clark qualche film di Bruce Lee dovrà pur averlo visto!), la vista calorifica che non poteva essere realizzata meglio.
E poi Quella Scena. Quella che fin dal trailer mi ha fatto realizzare chiaramente quanto avrei amato questo film.
Superman che appoggia il pugno per terra, la ghiaietta che si alza, lui che prende il volo con tanta energia da creare un cratere nel terreno e il momento dopo è nello spazio.
BOOM!
Che fierezza, a momenti piangevo di commozione!



Poi insomma, Cavill è credibile come Superman.
Ha più tette di Lois Lane.
Ha il fisico di un autotreno.
E' possente, spesso, fiero, altero, regale, un po' -volutamente- Gesù Cristo.
In certi momenti ne ha dell'essere trascendente, in certi altri si erge monolitico, alto e svettante sul popolo terrestre con una grandezza che straborda dallo schermo e ti invade il cuore e ti riempie di orgoglio.
E poi sarà anche un po' un figlio di merda per i Kent, che non si comporta tanto bene l'omaccione, però il sorriso così caldo e spontaneo che fa (che è l'altra sua faccia. Dissi prima che due ne aveva...) solamente quando vede ma' Kent è qualcosa di bello, che conserva una traccia di pietà filiale, anche se viene presto soffocata dalla figura dell'uomo in fuga.



Infine il modo in cui Clark entra a far parte del Daily Planet l'ho adorato. Ha un sacco senso e corona il legame del personaggio con Lois Lane.



In definitiva, se non si fosse capito, Man of Steel mi è piaciuto da morire.
Mi ha fatto dimenticare tutta una serie di altri film di supereroi che ho visto negli anni e si piazza nel mio pantheon personale sul gradino numero 1 assieme ad Avengers, che li metto a pari merito perchè del resto sono due film di genere diverso anche se appartengono alla stessa macrocategoria.
Mi ha coinvolto un sacco, io mi sono lasciato raccontare la sua storia e lui mi ha ripagato.
I criticoni avranno sempre da criticare, e ci sarà sempre gente che andrà al cinema con l'occhio clinico pronto a vivisezionare i film e smontarli pezzo per pezzo attaccandosi a falle, mica-falle, errori e improbabilità. Non io. Non oggi.
Per me i brutti film di supereroi sono altri: Daredevil, Elektra, Ghost Rider, i Fantastici Quattro..
E comunque la si metta questo Man of Steel non è alla loro stessa stregua.

Non sono un critico cinematografico, però 10/10 gli do, perchè questo film mi è piaciuto di brutto!

mercoledì 19 giugno 2013

LEGO, il film, la scimmia.



I lego sono un mattoncino fondamentale nell'infanzia di chiunque.
Chi non rientra in questo "chiunque" è nato male.
Ora fanno un film coi lego e questo è il trailer.




Non vi devo spiegare altro no?
Era tanto che aspettavo di dirlo, ma ora grazie a questo film posso davvero mettere d'accordo tutti: FANCULO, AVATAR!


martedì 18 giugno 2013

Sospensione dell'incredulità - un post sulla natura di Superman



E' in uscita il nuovo film di Superman, e certe cose me le aspettavo.
Lo hanno annunciato così tanto bello, così tanto bene, che era naturale che si facessero vivi dei detrattori.
La gente su internet sta raggiungendo livelli di prevedibilità tali da uccidere anche la soddisfazione del "lo avevo previsto".
E' il 2013, e c'è ancora gente che nel recensire Man of Steel esordisce criticando Superman per le mutande sopra alla calzamaglia.
Ne ho lette di tutti i colori, in special modo su Mangaforever.
Il Superman del 2006 non fece successo per via della poca azione che c'era nel film, a detta di chi l'ha visto.
Nel Superman di quest'anno l'azione c'è, e a quanto pare è tanta che la gente si lamenta che ci sia.
Mettetevi d'accordo!
Addirittura ho beccato uno che speculava sul perchè a Superman non gli si strappi mai il costume.
CHE DIAMINE.
Esiste un meccanismo mentale che si chiama sospensione dell'incredulità, e a forza di fare a gara a chi è più sagace ce lo stiamo dimenticando.
La sospensione dell'incredulità, altri non è che la tacita e vagamente inconscia accettazione da parte del fruitore di un'opera, dei pilastri che la reggono, dei contorni del suo mondo, delle regole che ne disegnano la realtà.
La sospensione dell'incredulità è quella cosa che se leggi di un mago in un libro fantasy ti tornano i conti, perchè è naturale, rientra negli accordi.
Superman... no, anzi, tutti i fumetti di supereroi sono decisamente ingenui, o almeno lo erano nel momento in cui sono stati concepiti.
La gente si ammazzava sui campi di battaglia, e onestamente non aveva tempo di riflettere sulle identità segrete protette da un paio di occhiali o puttanate simili.
C'era bisogno di eroi, di modelli che motivassero, di qualcosa in cui credere, di una speranza, non di farsi le pugnette.
La Meraviglia in una storia la vedi se ti abbassi al suo livello, se le accordi di credere in quello che ti racconta, e di farti catturare dalla sua magia.
Te la perdi se ti ergi a superiore. Non è una gara di intelligenza tra te e la storia, e se ti ergi a superiore non ne trovi una, di storia che ti soddisfi, perchè c'è un codice sottinteso ma fondamentale che chi legge/guarda segue, e chi non accetta di scendere a compromessi con una storia secondo tale codice è uno che bara.

Per cui, invece di sindacare su tutto, per godersi un personaggio come Superman non bisogna farsi prendere da troppe domande, bensì converrebbe semplicemente tornare un po' bambini.
Che poi...
Sinceramente di tutti i supereroi Superman non mi sembra molto improbabile in confronto a gente che tesse ragnatele, immortali con lo scheletro indistruttibile, umani normali che pestano robot a mani nude.
E se vai cercando il realismo nella roba dei supereroi sei un povero idiota; affanculo a leggerti una novella di Verga vai, tu e il tuo realismo, e a noialtri lasciaci la fantasia.

Superman.
Un supereroe che apparentemente oggi sta sul cazzo a tutti.
Perchè è onnipotente, perchè è americano coi valori degli americani.
Mo, sarò particolare io, però Superman mi pare tutto meno che onnipotente... insomma è pure morto.
Superman ha questi poteri:
-Salta molto in alto/ vola
-Ha una forza sovrumana
-Ha una vista calorifica/ a raggi X
-Supersensi
-Invulnerabilità (quasi)
Non so, ma non mi pare che sia capace di estrarre artigli dalle mani, roteare martelli di antiche divinità, dare forma tangibile a tutto ciò che immagina, allungarsi a dismisura, praticare la magia, diventare invisibile ecc.
Cioè, prendete un personaggio Marvel nemmeno di quelli più famosi, tipo Fantomex, e scoprite che riesce a fare più cose lui di Superman.
Cliccare per credere!
A me sembra che Superman abbia poteri definiti molto chiaramente, che non lasciano adito a dubbi, e non credo che lo sceneggiatore di turno per renderlo interessante debba per forza ritirare fuori la Kryptonite... insomma, se è uno bravo il fumetto te lo caccia buono...
La verità, alla fine, è che Superman è il primo e il più grande, quello con cui tutti devono fare i conti prima di misurarsi con tutti gli altri. E questo mette in soggezione.
Me, gli sceneggiatori e tutti quelli che dichiarano apertamente la loro antipatia per l'Uomo d'Acciaio.

Questa era qualche piccola puntualizzazione sul personaggio Superman e su quello che gli gravita intorno.
Poi guardo il film, e magari arriva la recensione.
Lo sto aspettando tanto!


venerdì 7 giugno 2013

Long Wei 1 - la recensione


Long Wei è un fumetto italiano in cui un attore fallito del cinema di arti marziali cinese si trasferisce a Milano.
E' coraggioso e atipico per tanti motivi: è un bonellide, ma è partito subito con blog dedicato, pagina facebook, pagina twitter e una campagna di pubblicità virale fatta di video semiseri girati dagli autori stessi.
Non parla di cowboy nè di roba paranormale.
Parla di arti marziali, e ne parla come potrebbe parlarne un film di quelli in cui Long Wei stesso fa la comparsa: questo di sicuro lo rende appetibile a tanti palati, tra cui, immagino, anche quelli di gente che il mondo del fumetto non lo bazzica abitualmente.
E' un azzardo questo fumetto, perchè rispetto al fumetto tradizionale italiano è qualcosa di atipico, e perchè nasce in tempi di recessione, in cui nessuno osa, nessuno si butta e la fantasia sta morendo.
Con Long Wei della gente si è buttata, e scrivo questa recensione sperando che si diffonda, affinchè tipo stage diving, il loro tuffo non sia nel vuoto, ma incontri le mani di tanta gente che sostenga.
Si vede che c'è della documentazione e tanta cura in questo fumetto: i caratteri cinesi sono tutti corretti (lo specifico perchè ad esempio li ho visti sbagliati addirittura in Batman. E l'editor in cheif della DC è un coreano, quindi un minimo di caratteri dovrebbe averli visti..); le sequenze di arti marziali sono pulite, comprensibili e fedeli a come sarebbero nella realtà.
Il disegno in generale è un po' sporco e impreciso, complice forse una carta che assorbe troppo, ma risulta godibilissimo.
La storia piace, è molto classica e si concluderà in 12 numeri, quindi ti mette voglia di vedere come va a finire, anche visto e considerato che la spesa non sarà eccessiva e che si sa già che finirà e quando finirà.

Questa non è solo una recensione... è più un consiglio di acquisto. Molto caldo.
Perchè pur essendo Long Wei un fumetto assolutamente nella media, niente di più, niente di meno, che trova il suo pro più consistente dello straniamento che si crea accostando le battaglie dei film cinesi all'ambientazione quasi familiare di Milano; ha qualcosa che lo rende speciale.
E questo qualcosa è quello che ha dietro.
Long Wei potrebbe essere un punto di svolta nell'editoria del fumetto italiano: la Bonelli vende sempre molto bene, ma per via della crisi e di (a quanto dicono) cali qualitativi nelle storie, vende meno.
Chi non è Bonelli invece apparentemente non vende niente.
Tanta gente (e mi ci metto dentro anche io) si lamenta di come i fumetti italiani godano di scarsa varietà nelle tematiche: paranormale, cowboy e conseguenti sfumature.
Long Wei è qualcosa di nuovo, di bello, se vogliamo anche di esportabile.
Potrebbe vendere, perchè incontrerebbe i gusti favorevoli di tanta gente, ma i distributori contribuiscono a tagliargli le gambe, tanto che sul blog gli stessi autori hanno invitato chiunque lo volesse a tampinare gli edicolanti in modo che a loro volta gli edicolanti tampinassero i distributori per far arrivare il fumetto laddove non è arrivato.
Comprare Long Wei ha una valenza tutta particolare: potrebbe essere il primo, piccolo passo per risanare un mondo, quello del fumetto italiano non Bonelli, che altrimenti si avvierebbe a finire, potrebbe essere un modo per mettersi contro i distributori e dimostrare che l'ultima parola è sempre del lettore, e potrebbe essere un buon incentivo agli autori italiani per fare sempre meglio e sperimentare qualcosa di nuovo invece di appiattirsi progressivamente verso western e paranormale.

Costa 3 euro. Non è tanto. Io l'ho preso, l'ho letto, mi ha divertito e non me ne sono pentito.
Piuttosto che darli a uno zingaro su un treno, compratevi sto fumetto.

mercoledì 5 giugno 2013

Superior Spiderman 11

Dedico una recensione monografica al numero 11 di Superior Spider-Man perchè a mio avviso è il migliore della serie fino ad oggi.
Tanto per cominciare non è disegnato da un cane ma da Camuncoli, uno Italiano, uno capace.

E poi lo storytelling.
Le tematiche di questa storia.
Qualcosa di eccezionale, che riassume alla perfezione e in modo non banale quello che questo cambio di status quo del Ragno vorrebbe essere.
Un fumetto sul rimettersi in gioco, sull'opportunità o meno di concedere a qualcuno una seconda possibilità, sul rimescolamento delle certezze.
Se i fumetti supereroistici sono sempre stati tradizionalmente manichei nella divisione tra bene e male, buoni e cattivi, bianchi e neri, questo è un comic book che ti spiega le sfumature di grigio.

L'intero numero è basato sul transfer, ironia della sorte, proprio dopo che Octavius ha eliminato Parker dalla sua mente, ed è denso di simbolismi, dualità e giustapposizioni.

All'inizio prende la forma di un ricordo di Octavius quando era studente messo a confronto con il presente di Otto all'università, che si ritrova il compagno idiota come professore.

E' evidente oramai, dopo undici numeri, che Otto non si trovi per niente a proprio agio nell'interagire con il cast di comprimari della vita di Peter.
Lo si evince in special modo nelle pagine in cui discute con Max Modell, capo della Horizon Labs dove lavora, trattandolo con sufficienza.
Il fatto che Peter Parker amasse tanto il suo lavoro alla Horizon e si fosse battuto così strenuamente per mantenerlo, confrontato con la noncuranza con cui lo tratta Octavius non fa altro che ricordare in modo perentorio che sotto il costume rosso e blu, nonostante l'aspetto fisico rimanga lo stesso, c'è una persona profondamente diversa.
Peter/Otto finisce per farsi minacciare di licenziamento, ma prende la cosa con filosofia: a lui non frega niente della Horizon, di Modell e della vita di Parker, così piena di catene, gioghi e impedimenti.
Otto Octavius vuole essere "capitano del suo destino".
Otto Octavius vuole essere un uomo libero. E questo tenetelo a mente, perchè tornerà più avanti.
In una pagina che sembra porre le fondamenta per il futuro dipanarsi della storia, l'ex Doctor Octopus ci spiega nuovamente la sua visione della vita, del mito dell'Uomo Ragno e di come ha intenzione di viverlo.

Come nella prima immagine che ho allegato al post, Superior Spider-Man vuole essere LIBERO.
Ma come si evince dalla vignetta qui sotto, che costituisce secondo me il plot twist più interessante di tutta la saga a livello di psicologia dei personaggi, Otto Octavius pur avendo intrappolato Peter Parker nel suo corpo morente mentre era in carcere ed essendosi guadagnato la libertà sostituendoglisi, ora si sente egli stesso limitato dai gioghi mentali autoimposti da Peter, che vanno a creare i presupposti della condizione di Uomo Ragno.
Le grandi responsabilità che derivano dai grandi poteri.
Ce ne accorgiamo anche nell'emblematica copertina, in cui vediamo Spider-Man rinchiuso in una gabbia di ragnatela che rappresenta il controsenso del suo potere: è in grado di volare liberamente tra i grattacieli di New York, unico limite il cielo, e l'unica zavorra che lo tiene coi piedi per terra e gli impedisce di uscire di testa sono le responsabilità che questo suo potere essenzialmente di libertà comporta.



Ricapitolando abbiamo un Otto carcerato, che ottiene la libertà soggiogando Peter ma finisce per ritrovarsi a sua volta imprigionato in un'altra gabbia fatta di responsabilità, insomma più dura dell'adamantio.
Proprio Otto che è stato sempre così geniale da prevedere tutto e mettersi sempre un passo davanti all'avversario, non è stato in grado di leggere nell'animo della sua nemesi e comprenderne l'essenza, così da ritrovarsi stupito del fatto che anche il rivale di sempre, che ai suoi occhi appariva così perfetto e vincente e fortunato, soffriva per i suoi problemi.

Ed ecco che arriva il grande insegnamento, che l'erba del vicino, non sempre è la più verde. Magari è afflitta semplicemente da altri problemi che per un motivo o per un altro non sei in grado di vedere.

Potrebbe anche chiudersi così per finire in gloria, e invece no, perchè per una volta che a Slott gli è venuta un'idea veramente geniale, la vuole portare fino in fondo, e bravo Slott.

Perchè il resto dell'episodio si svolge in prigione, al Raft, il carcere di massima sicurezza per supercriminali male.
Ma di che parla questo numero di Spider-Man alla fine?
Parla dell'imminente esecuzione di Spider Slayer, il tizio che ha fatto fuori la moglie di Jameson; la vecchia volpe col baffetto, previdente, siccome si sente per le ossa che lo stronzo cercherà di scappare, chiama l'Uomo Ragno e gli dice: "oh, viè un po' qua, viè, e graffiaci gli occhi a sto figlio di padre ignoto se prova a non morire graffiaci!".

E quindi l'Uomo Ragno arriva.
Al Raft. E però adesso l'Uomo Ragno è il Dottor Octopus, che fino a pochi mesi prima era in una di quelle celle, attaccato a un esoscheletro che lo teneva in vita, condannato a sentire il suo corpo marcire in tempo reale e alla consapevolezza che sarebbe morto lì, senza più rivedere l'esterno.
Lo stesso Dottor Octopus che adesso è libero, libero a metà. L'uomo libero torna in prigione in una veste nuova, e riflette sul suo nuovo status.
Le pagine nel Raft sono memorabili.


Octopus/Spider-Man comincia a riflettere su se stesso, nel suo profondo. Su chi sia, su quanto di quello che faccia sia un teatrino... tutti i supereroi sono maschere in un teatrino. Se è vero questo lui è la maschera di una maschera, perchè porta due identità segrete: Quella di Peter e quella di Spider-Man.
Comincia ad elaborare un suo concetto di libertà e di gratitudine nei confronti della vita, di riconoscenza per la seconda possibilità che gli è stata concessa.
Come faccio a riconoscere la riconoscenza? Bè, Spider-Man di oggi non esiterebbe ad uccidere con le sue stesse mani la feccia che ha davanti. Non lo fa, e va via subito dopo aver riflettuto su quello che ha perso e su quello che ha guadagnato.
E' una cosa profonda. Non è banale. Proprio per niente.


E poi le vignette centrali della pagina qui sopra. Si parlava del rimettersi in discussione, del rimescolamento delle certezze (e penso al capitolo del Sutra del Loto in cui Maitreya raggiunge la consapevolezza di non essere l'unico bodhisattva al mondo). Eccolo qua, il nostro eroe con le sue convinzioni che... che sfumano nel giro di tre vignette.
E questa è una grandissima prova anche da parte di Giuseppe Camuncoli, che riesce non si sa come a rendere perfettamente bene l'espressività del volto con tutto che porta la maschera: percepisci proprio le emozioni, il travaglio interiore che il povero cristo sta provando.

Poi vabbè, il criminale tenta di evadere come previsto, Spider-Man si lancia a fare il suo manesco dovere e ciaociao ci vediamo alla prossima puntata.
Non prima però di aver fatto sfoggio di un altro fenomenale espediente narrativo: Spider Slayer ha elaborato diversi piani di fuga, prontamente vanificati da un Uomo Ragno inspiegabilmente preparatissimo a ogni evenienza.
Dietro infatti c'è Octopus, che passò gli ultimi mesi della sua vita a cercare di elaborare un piano analogo, e aveva già vagliato ogni possibilità.
Ed ecco Octopus che sfrutta un che del suo passato criminale per mettersi al servizio del bene.
Di nuovo il riassunto di quello che la testata si propone di essere.

Per quanto mi riguarda se Superior Spider-Man continuasse così, potrei dimenticarmi del tutto di Peter Parker.

Fumetto eccellente. Punto.




sabato 1 giugno 2013

Arrivederci Matt


Quando decidi (e non è un processo consapevole: il tuo cuore è più veloce della tua testa e la decisione la prende lui) di amare Doctor Who sai già.
Sai già che stai abbracciando un orso.
Sai già che ti stai autocondannando a una serie interminabile di gioie ma con la spada di damocle che incombe sempre sulla tua testa di fan: la rigenerazione.
Sai bene che non dovresti affezionarti più di tanto e sai altrettanto bene che non puoi farne a meno, che il Dottore bucherà lo schermo ed entrerà a far parte della tua vita come un amico, un angelo custode, un barlume di speranza nel mondo in cui hai perso la fiducia.
Nel momento stesso in cui un Dottore fa la sua comparsa sai già che arriverà il momento dell'arrivederci e ti farà male, perchè negli anni che hai passato con lui hai imparato ad amarlo, lui e le sue diverse sfaccettature dello stesso, eterno personaggio.
Doctor Who è unico.
Unico perchè questa strana serie di situazioni, quando collidono, creano una condizione atipica in cui alla "morte" del protagonista la tristezza viene sovrastata dalla tua sete di novità, curioso ed elettrizzato come riesce a renderti.
L'essenza di Doctor Who è il cambiamento, la transitorietà delle cose, e nel contempo il loro essere infinite e grandiose.
Doctor Who ti insegna Le Lezioni: a riconoscere la Meraviglia, ad amare la vita, a vivere con coraggio, a non perdere la fiducia nell'umanità anche nei momenti più duri, a stupirti di piccole e grandi cose a 5 come a 1000 anni, a non cercare di lottare contro le leggi immutabili della vita, che ogni cosa è passeggera, anche tu lo sei, devi rassegnartici e quando lo farai ti insegna pure a riconoscere il valore aggiunto di cui la tua vita viene immediatamente ricoperta.

Però Matt se ne va e nonostante le belle parole la cosa fa male.
Fa male perchè Matt è il MIO Dottore, quello con cui mi sono appassionato alla cosa.
Quello che quando farò vedere Doctor Who alla prole gli dirò "quando ero giovane lui era il mio eroe, e tua madre avrebbe voluto limonare col mio eroe".
Se ne va Matt, se ne va un comprimario della mia vita.

La cosa più bella di tutto ciò è che però, come ho detto prima, il fatto che Matt si rigeneri mette un punto, ti offre una base da cui trarre conclusioni, un belvedere dal quale contemplare un insieme.
E' lasciando il suo ruolo, che i suoi anni da Dottore diventano un qualcosa di unico, di importante, di scolpito nella Storia.
Ed è dopo che Matt si sarà tolto il farfallino che il suo personaggio comincerà a ricoprirsi della patina del tempo e della leggenda che gli spetta e lo nobilita.

Mi mancherà. Mi mancherà parecchio. C'è stato in uno dei periodi più felici della mia vita.
Ora però sono tutto un fuoco per sapere quanto più possibile sul nuovo Dottore, sulle nuove storie e, si, fondamentalmente non vedo l'ora di continuare a crescere insieme al miglior Time Lord che gli universi abbiano mai avuto la fortuna di conoscere!

Buona vita a Matt, ma ora non restiamo arroccati sul passato bensì tuffiamoci a capofitto verso un futuro pieno di meraviglia!

GERONIMOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO


giovedì 30 maggio 2013

Cosa rende grande Dragon Quest IX



1) Akira Toriyama
Non ve lo devo nemmeno spiegare, vero? Credito anche a Yuji Horii, che disegna da sempre tutto ciò che non è personaggi in Dragon Quest.

2) Portatile
Se Dragon Quest IX fosse un gioco per consolle casalinga ti terrebbe attaccato alla tv per ore e ore. Ma è portatile. E quindi addio vita sociale.
DQ9 però offre una marea di approcci diversificati e obiettivi molto ben definiti e raggiungibili in tempi decenti.
Che tradotto vuol dire che si presta benissimo anche alle partitelle mordi e fuggi, venti minuti sulla coriera, quarto d'ora sul cesso ecc.

3) Abbordabile
Non ho detto che è facile. E' abbordabile. Che vuol dire che è facile, ma ci devi saper fare.
E' una buona scelta per chi non ha mai provato Jrpg, perchè è molto graduale, ma anche gli abituè trovano di che sfiziarsi a livello di scelte strategiche per sconfiggere i mostri più coriacei.
Quindi oltre ad essere abbordabile in termini di tempo è abbordabile anche in termini di difficoltà.

4) Mordi e fuggi
Si è già accennato a questa cosa che DQ9 lo puoi affrontare tranquillamente anche a piccole dosi (anche se quando hai tempo ti piace starci attaccato finchè morte della batteria non vi separi).
Facciamo un esempio pratico.
Monster Hunter su psp, che è forse l'emblema del gioco mordi e fuggi per consolle portatile, in media richiede sui 40 minuti per portare a termine una missione. Sembra niente, ma 40 minuti sono quasi un'ora e uno che vuole fare una partita mordi e fuggi è difficile che riesca a prendersi un tempo del genere.
E' anche vero che (almeno nel mio caso), non mi piace iniziare una partita senza avere la certezza di arrivare a capo di qualcosa, perchè mi sento scemo.
Quindi se non ho il tempo che mi serve, mi passa la voglia di iniziare a giocare.
DQ9 invece oltre alla storia principale offre una folta schiera di obiettivi realizzabili a breve termine, che almeno te la senti di giocare anche per dieci minuti e non ti senti coglione perchè combini qualcosa.

5) Immersivo
Pochi giochi sono immersivi come DQ. E il 9 nonostante il formato portatile, anche.
Ci sono una marea di piccoli accorgimenti per farti sentire parte di un mondo vivo e pulsante, con le sue storie, le sue battute divertenti, i suoi personaggi che bucano lo schermo.
Basta curiosare in giro, leggere un libro di qua, parlare con qualcuno di là, fare attenzione alla coppia di turisti nella locanda che dopo un po' se ne va via perchè la vacanza è finita, fermarsi e farsi raccontare dai personaggi le loro storie, per sentirsi completamente assorbiti e affascinati.
L'ambientazione è coerente, viva, profonda e pittoresca. E la cosa si sente tutta.

6) Storytelling
Lo storytelling è eccezionale. C'è una trama di fondo, che per molto tempo rimane davvero sul fondo, salvo poi venire ripresa saltuariamente. Questo però non vuol dire che perda mordente o che sia trascurabile. Semplicemente ogni tua azione e ogni tuo viaggio e ogni tua missione è motivata alla lontana da quella che è la storia principale, primo motore della vicenda.
Ma nel pratico il gioco consiste nel viaggiare di città in città a risolvere dei problemi. Talvolta per raccogliere della Benessenza, ovvero preghiere umane condensate (il protagonista è un angelo), altre volte per raccogliere i frutti sacri dell'albero Yigdrasil, caduti accidentalmente sulla terra dalla tua città che fluttua sulle nuvole.
Pertanto di volta in volta la storia va a coincidere con le storie dei personaggi bizzarri che trovi sul tuo percorso, come il cavaliere nero che ha perso l'amore, la locandiera dispersa, il burbero erudito in lotta col suocero, lo scultore nostalgico, la bambina che evoca il dio del mare, l'abate in fuga e così via...
Storie che nel loro piccolo possono nascondere qualcosa che va oltre l'apparente semplicità, e di sicuro al di là degli stereotipi.
Aggiungiamoci che il tuo protagonista non parla mai, e nonostante questo i dialoghi e la storia restano coerenti, divertenti ed eccezionali!

7) Crafting
Odio il crafting, sempre detto, ma qui il crafting è semplice. E, oh, diciamola tutta: per essere bello un gioco non deve per forza essere difficile. Se le cose semplici sono fatte bene, sono le migliori.
Detto questo, il crafting si configura come un mago-pentola alchemica nel quale buttare degli oggetti e mescolarli per crearne di nuovi, senza esborso di denaro nè altri particolari sbattimenti.
Salvo pochi oggetti come erbe medicinali e ali di chimera, che ti permettono di tornare istantaneamente alle porte di una città già visitata, praticamente tutti gli altri oggetti che si trovano nel gioco servono esclusivamente per il crafting. E questo è decisamente vario.
Si può decidere di tentare la sorte miscelando cose a caso, o si possono seguire delle ricette, che, con un po' di perizia e di pazienza, si potranno trovare disseminate nelle librerie di tutto il mondo di gioco. Si possono craftare più di un migliaio di oggetti tra armi e vestiti, ma l'unica difficoltà in questo sistema di assemblaggio così intuitivo è il tempo che uno impiega tra il reperimento delle materie prime e le ricette stesse.
Semplice, intuitivo e gratificante.

8) Personaggi
Il tuo party lo puoi creare tu come preferisci: puoi dare ai personaggi un'aria scanzonata, un'aria seria, un'aria figa. Molti outfit sono tipici di Toriyama, come l'acconciatura da Saiyan o il mohawk alla Ub.
Col tempo ci si affeziona alle proprie creaturine e tra tutti gli outfit con cui le si può personalizzare si comincia a viverle un po' come un Tamagotchi. Anche questa l'ho trovata una figata.

9) Grafica
La grafica è eccellente. Gli ambienti sono disegnati benissimo, i personaggi principali (il tuo party e quelli rilevanti per la storia) sono in 3D mentre gli altri sono tutti in sprite, ma la differenza si nota a malapena.
Le ambientazioni sono decisamente varie e dettagliate, sia per quanto riguarda gli ambienti domestici e urbani, tanto per quanto concerne gli ambienti naturali: oceani, montagne, grotte, deserti, spiagge.
Spesso si gode di vedute evocative e paesaggi maestosi, per quanto i poligoni restino sempre abbastanza visibili.
Teniamo conto però che il Nintendo Ds in media supporta giochi che sono poco più in su di quelli per Game Boy Advance, quindi vedere una cosa del genere su una consolle così è qualcosa che scalda il cuore.
E' difficile trovare un comparto grafico così centrato anche su giochi Psp, dove l'hardware permetterebbe di fare roba migliore.

10) Colonna Sonora
Della colonna sonora di Dragon Quest parlai appena aperto questo blog. QUI per chi vuole andarsi a leggere cosa scrissi.
Bè, penso esattamente le stesse cose, eccetto forse che stavolta è addirittura meglio: il gioco è portatile.
La colonna sonora è perfetta. Il senso di libertà alle stelle.
Note che toccano il cuore ed esaltano la poesia stramba di un gioco che è una piccola grande opera d'arte.

Del multiplayer non parlo, non avendo ancora avuto modo di sperimentarlo (certo che se qualcuno volesse sperimentare mi avvisi, che io sono pronto da subito!)

Giocare a DQ9 mi ha spinto ad elaborare una riflessione più ampia sui videogiochi.
Si dice ultimamente che il mondo del videogioco stia decadendo, preda di se stesso. E' vero.
Almeno finchè le consolle di nuova generazione continueranno a puntare tutto sulla grafica e sui franchise collaudati lasciando coraggio e fantasia alla Playstation 2 e alla Wii.
Finchè il mercato sarà invaso dall'ennesimo sparatutto e dagli annuali giochi di sport non ci sarà un nuovo impulso a produrre qualcosa di veramente divertente.
Perchè, diciamocelo, è un insulto all'intelligenza pensare che giocare lo stesso gioco anno dopo anno sia divertente. Insomma, gli sparatutto sono generalmente tutti uguali, e anche al calcio, non è che aggiungano nuove regole ogni anno!
Nelle recensioni tutti badano alla grafica, alla longevità (sempre meno) al multiplayer (che se oggi un gioco non ha il multiplayer è roba di serie b).
Ma c'è un fattore, che più di tutti è importante ai fini del gradimento di un gioco e che purtroppo noto che la gente si fila sempre di meno:

IL DIVERTIMENTO.

La gente si autoimpone certi polpettoni di giochi pallosi o tutti uguali solo perchè sono l'ultimo uscito o quello con un graficone della madonna. Fondamentalmente le dinamiche di gioco restano analoghe e provato uno, provati tutti.
Alla lunga non diverte più.
Ci sono tanti feticci:
DIFFICOLTA' = BELLEZZA.
BELLA GRAFICA = VALIDITA'.
MULTIPLAYER = SODDISFAZIONE.
E il divertimento dove lo mettiamo?
Dragon Quest 9 mi piace perchè DIVERTE. E' semplice il giusto (perchè oh, diciamocelo, se non vinco a me un gioco non è che diverta poi tanto), non punta a feticci fini a se stessi, non si può dire che innovi, ma diverte e diverte un sacco.
Questo mi ha fatto pensare che d'ora in poi sceglierò i miei videogiochi solo in base al criterio "MI DIVERTE O NON MI DIVERTE?".
Pensateci...

Vagabond secondo me


Questo è il copia e incolla di una risposta mia a QUESTO video in cui Cavernadiplatone parla male di Vagabond.
Con Cavernadiplatone parlo sempre volentieri: legge un sacco, ci capisce, è uno dei pochi che pensa con la sua testa ed è tanto capace di farlo che alla fine sono in tanti che pensano con la sua testa, c'è stima insomma.
Però secondo me il suo giudizio è falsato da determinati fattori.
Questo è quello che di Vagabond penso io, e non vorrei che andasse perso.



Dome, che Vagabond non ti piaccia per una questione di gusti ci può anche stare, ma quando dici che proprio è una merda sbagli.
E' semplicemente molto diverso dal resto della produzione di Inoue, che uno magari se lo aspetterebbe un po' più nazionalpopolare mentre invece questo Vagabond è una cosa un po' tanto di nicchia, una sorta di testamento artistico dell'autore.
Ci sono cose, in Vagabond, che non ho trovato in nessun altro manga e nel momento in cui lo shonen modaiolo mi ha rotto i coglioni, sono state opere come Vagabond a rimanermi in testa.
Cose, però, apprezzabili da uno come me che in roba di Giappone ci si sta laureando.
Vedi, la mia più grande passione è la storia del Giappone antico. Non saprei dirti perchè, ma è quella. Samurai, monaci, poeti, eremiti, imperatori in ritiro, pellegrini, contadini, templi, villaggi di legno, giardini, residenze nobiliari... hanno sempre esercitato un grande fascino su di me.
E in Vagabond trovi quel tipo di Giappone, sia nel testo che nel metatesto.
Intanto Vagabond non è una trasposizione del Libro dei Cinque Anelli (non te lo dico per fare il precisino di sto cazzo... te lo dico per correttezza così poi magari ti viene la curiosità e ti vai a recuperare pure i libri, che costano poco e valgono la lettura).
Il Libro dei Cinque Anelli è un trattato di filosofia/arte militare di impostazione buddhista come quelli popolari tra i samurai dell'epoca (molti conoscono il cinese Sun Tsu, letto volentieri anche in Giappone, e lo Hagakure di epoca Edo, scritto da Yamamoto Tsunetomo), e non un romanzo nè una biografia, se non in senso lato.
Ishinomori si avvale della divisione in maki (rotoli, libri) dell'opera di Musashi per scrivere una biografia di Musashi... insomma il suo è un artificio letterario.
Vagabond invece si pone l'ambizioso obiettivo di trasporre la lunghissima epopea di Yoshikawa Eiji (oltre 900 pagine la traduzione inglese con dei tagli, e mi pare di ricordare che la versione integrale giapponese sia composta di otto libri, a loro volta raccolta della prima stesura apparsa come romanzo d'appendice dello Asahi Shinbun, primo quotidiano giapponese, per 4 anni) in forma di manga, e quella si, è una sorta di biografia romanzata.
Se sia annacquato non te lo so dire, ma non penso. non ho letto la versione in giapponese (troppo lunga e non ho un livello tale da leggermi le migliaia di pagine. non ancora XD) però considerata la sua lunghezza il manga mi sembra onesto.
Per me che ho la passione per certe cose, già solo questo mi conferisce un valore particolare a un manga che ti rende accessibile una cosa che in italiano abbiamo come traduzione di seconda mano, con tagli e rese libere che è una porcata.
E pure quando parli dei duelli di samurai mi sono stupito.
La verità vera dei duelli di samurai non è quella edulcorata degli spadaccini di Bleach. I tipi studiavano tanto e poi a meno che non si trattasse di una situazione di guerra, i duelli uno contro uno li risolvevano in un colpo solo. Come i cow boy con le pistole (e chiediti perchè il cinema americano sui cowboy ha saccheggiato a piene mani la cinematografia giapponese del dopoguerra! I Sette Samurai diventa I Magnifici Sette; Yojinbo diventa Per un Pugno di Dollari). Passavano minuti e minuti a studiarsi, il duello era in primis mentale (non dimenticare che la spada non era "la spada" ma "l'arte della spada". I Giapponesi tendono a vivere qualsiasi espressione dell'essere come un'arte) e il cedimento che portava alla sconfitta non era nella tecnica ma nella forma mentis: il primo a cui cedeva la concentrazione perdeva la vita. E in questo la figura di Musashi fu particolare, perchè dove non arrivava con la tecnica arrivava con l'espediente: presentarsi in ritardo ai duelli, mettersi di spalle al sole e aspettare il momento buono che il nemico ne resta accecato...
Però naturalmente queste sono cose che uno apprezza se ha la passione o se un minimo le ha studiate... io per esempio del cinema di Kurosawa ho cercato di vedere tutto il possibile e mi sono innamorato dell'archetipo del samurai, sempre uguale, sempre stereotipato, a tratti irreale, ma sempre figo.
E dal punto di vista del disegno...
Qua proprio mi sento di contraddirti in pieno.
Il tratto di Vagabond si è rarefatto col tempo. Non so come sia Real ma non credo che anche Real abbia preso tale piega. Questo dovrebbe dimostrare che la cosa è un espediente voluto, non sintomo di svogliataggine.
Non mi puoi mettere sullo stesso piano un Takehiko Inoue con un Tite Kubo o un Masashi Kurumada qualsiasi!
Inoue è uno che fa esposizioni d'arte e mostre nei musei. E' uno che ha studiato i presupposti dell'arte giapponese classica dai maestri ancora viventi, prima di approcciarsi a questo manga.
Anche questa è una cosa che i Giapponesi e chi studia il Giappone riconoscono, ma il lettore medio purtroppo no: lo stile di pennellata di Inoue è uno stile classico affermatosi a partire dall'epoca Kamakura e si chiama Zenga (letteralmente pittura zen), o Sumie (disegni a inchiostro nero).
Questo stile pittorico nacque come esercizio spirituale dei monaci zen, era una sorta di coadiuvante alla meditazione, e poteva consistere anche nel cercare di disegnare un tondo col pennello ogni giorno per anni. E' una tecnica che si lega molto da vicino alla calligrafia tradizionale giapponese e cinese importata in Giappone, che poi è sempre stata legata a doppio filo con l'arte figurativa (anche il tratto dei manga di Hokusai è pesantemente indebitato allo stile del pennello nella scrittura dei testi).
La rarefazione del tratto di Inoue non è altro che un omaggio a quella che è un'arte tradizionale e, a mio parere, di eccezionale bellezza propria tanto delle radici storiche del suo Paese quanto di quelle di tanti suoi personaggi: Musashi stesso studiò lo zen e divenne in tarda età pittore e maestro calligrafo; Takuan Soho fu un monaco zen realmente esistito...
Tra l'altro Yoshikawa scrisse Musashi in un periodo delicato della storia del Giappone, in cui si profilavano all'orizzonte le guerre mondiali e il Paese tendeva con tutte le sue forze e con velocità impressionante ad industrializzarsi e ritagliarsi un proprio posto d'onore tra le potenze dello scacchiere internazionale. Era un periodo in cui si creò a forza e velocemente un'unità nazionale cementata attorno a valori antichi e alla riscoperta delle radici della cultura nipponica.
Addirittura Yoshikawa fu pure mandato in Cina come corrispondente dal fronte, per dire.
Il fatto che anche Inoue, nella sua rilettura dell'opera la contestualizzi e nell'epoca Muromachi, e nell'era Meiji, quella in cui l'opera è stata redatta per la prima volta, omaggiando questi particolari momenti storici con chicche e sfoggi di cultura ed erudizione, non è roba da poco!
Ripeto, mi rendo conto che senza le adeguate conoscenze pregresse possa dare una certa impressione... però dai, fino a un certo punto. Che se dai un'occhiata ai due artbook che Inoue ha realizzato per Vagabond ritrovi l'opera di un artista visivamente eccezionale.
Inoue per questo manga si sta inventando veri e propri pezzi da museo. Spiace che la gente non li riconosca e li etichetti come spazzatura addirittura...



So che dopo questo papiro continuerai ad avere la tua opinione e non sarà certo questo che ti farà apprezzare Vagabond se non ti è piaciuto. Ti stimo per questo, perchè sei uno dei pochi a pensare con la propria testa.
Però te lo giuro, ti stai perdendo qualcosa!
Ricordi quando io ero inorridito dal primo arc di Jojo e tu mi desti del pazzo e mi dicesti di tenere duro e continuare? L'ho fatto e ora Jojo mi piace.
Tentar non nuoce, leggiti le scan quando finisce e sappimi dire se lo rivaluti almeno un po' ;)


giovedì 23 maggio 2013

Superior Spiderman 10 numeri dopo

CI SONO GLI SPOILER
Cinque mesi e dieci numeri dopo l'esordio di Superior Spiderman traiamo qualche conclusione in più.
Dan Slott non è un bravo scrittore, e ne ho avuto la conferma.
Grant Morrison è un bravo scrittore, Neil Gaiman è un bravo scrittore.
Dan Slott no. La sua run sta dimostrando alti e bassi, e ha i suoi momenti che punta troppo al sensazionalismo, forse un po' troppo gratuito.
Intendiamoci, continuo a seguirlo, e con una certa impazienza, perchè comunque la storia prende e di numero in numero si impossessa di te la smania di sapere come va a finire, e che succede dopo.
Per cui si, da questo punto di vista è riuscito.
Dove non mi ha convinto?
Non saprei dirlo con precisione. Più che altro si tratta di una sensazione di fondo.
Nel numero nove c'è stata l'"ultima" lotta tra Peter Parker e Doc Ock nella testa dell'Uomo Ragno, la cui posta in gioco era la supremazia sul corpo dell'eroe.
La battaglia si è conclusa con Parker annientato e Ock col corpo di Spiderman finalmente tutto suo, ma senza più i ricordi della vita di Peter.
Possiamo dire quindi che nei primi nove numeri della run ci sia stata narrata una situazione di stallo, di assestamento, in cui l'orientamento delle storie non era ancora del tutto chiaro e univoco e quindi è anche difficile prendere una posizione.
Da questo numero dieci in poi è possibile che qualcosa cambi: i giochi sono fatti e non si torna indietro, e il comodo espediente di Peter dietro le quinte pronto a tornare al primo momento buono in caso la gente non gradisse ce lo siamo lasciato alle spalle.
E onestamente devo dire che la sensazione di fondo di cui parlavo prima stava proprio in questo... dopo nove numeri che continuava a succedere poco e niente stavo cominciando a stufarmi.
Qualcuno mi dirà che non è vero che non sia successo nulla in questi nove numeri... bè, in effetti i momenti interessanti ci sono stati, ma sono riassumibili a tre, fondamentalmente:

-Spiderman pesta a sangue Screwball e il socio perchè lo hanno preso in giro.
-Spiderman uccide Massacre sparandogli in una stazione gremita di persone dopo che il criminale si era reso protagonista di una carneficina.
-Spiderman si inimica tutti i Vendicatori tranne la Vedova Nera.


Effettivamente non è roba che possa passare inosservata nel fumetto dell'Uomo Ragno, ma quello che intendo con "stavo cominciando a stufarmi" è che in fondo tutte e tre le cose rientrano nel leit motiv, lasciatemi dire anche un pochino scontato, dell'antieroe, del supereroe cattivo.
Doctor Octopus diventa Spiderman, giura di difendere la giustizia, lo fa a modo suo quindi da cattivo psicopatico e risoluto.
Ogni numero fino al nove si è svolto nella stessa maniera, con Spiderman chiamato a sconfiggere un criminale, ogni volta con metodi sempre più violenti scivolando fino all'omicidio passando per la vendetta, e qualche volta a rimettere in discussione il suo modo di vedere il mondo.
Bello.
Ma dopo nove numeri comincia quasi a serpeggiare l'impressione che l'autore non abbia ancora ben deciso che impronta precisa dare alla serie e ti sembra che stia facendo un po' il pesce in barile.

Highlights della serie, sicuramente gli appuntamenti di Peter con MJ, la parlata aulica e sprezzante di Ock nel corpo di Parker (che non vedo l'ora di scoprire come la renderanno in italiano), la violenza gratuita, gli spunti di riflessione sull'etica, su cosa sia giusto e cosa sbagliato.
Questo Spiderman non si può dire che sia un criminale: ha un suo particolare senso della giustizia, e provi una sensazione di straniamento quando ti trovi ad essere d'accordo con lui (specie nel caso di Massacre) pur avendo chiara in testa la convinzione che quello che sta facendo è decisamente eccessivo, sbagliato.

I bassi invece li ritrovi in una certa semplicità, quasi faciloneria, nella scrittura di Slott.
Per carità, è bella questa sfumatura di Spiderman, ma non aggiunge niente di nuovo ad almeno un altro paio di aracnidi violenti in circolazione nell'universo Marvel al momento.
Doc Ock nel corpo di Spiderman = Spiderman cattivo era una cosa un po' troppo banalotta, ma confido che dal decimo numero in poi le cose si complichino un pochino. E' comparso Goblin come cattivone e voglio vedere come si rapporterà Ock/Spiderman all'amico/nemico per eccellenza.
Ho trovato geniale la trovata di Peter che torna all'università, e si ritrova come professore un vecchio compagno di corso inetto di Octavius: una situazione del genere offrirebbe infiniti siparietti comici e darebbe più spessore alla vita di un personaggio così particolare come un cattivo a cui viene data una seconda possibilità. Invece la cosa non viene minimamente approfondita e la relazione con Anna Maria, tutor di Peter, nemmeno.
Altri bassi li ritrovi ogni volta che cercano di rimarcare che Octavius è un genio e poi invece si lascia andare a moti istintivi comportandosi come il più idiota degli idioti: è una grossa ingenuità, e la stai facendo commettere a quello che solo una ventina di numeri fa aveva trovato il modo di chiudere o aprire a comando il buco nell'ozono tenendo sotto scacco l'intero pianeta e sacrificando pedine umane con la freddezza di un giocatore di scacchi; lo stesso tipo che con altrettanto self-control, dieci numeri fa pur essendo in punto di morte è riuscito a uccidere Peter Parker.
Poi rischia di mandare a puttane la sua identità segreta per fare brutto a dei bulletti...
Vette di bassezza vengono altresì toccate ogni volta che disegna Ramos. Fatevene una ragione, non è capace. Mettetelo a disegnare qualche serie di terze reclute semisconosciute degli X-Men va, non l'Uomo Ragno. Non è bravo.

In definitiva Spiderman è davvero superiore?
Si, a suo modo.
E' meno idealista e più pragmatico: se si dovesse trovare a scegliere se salvare MJ dall'incendio divampato nel suo club e catturare un pericoloso latitante, sceglie la seconda, e a mettere le pezze alla prima ci manda i pompieri che è compito loro, giustamente.
Ha sviluppato una tecnologia tale da riuscire a tenere sotto controllo gran parte della città dal divano di casa, tramite robottini e applicazioni per smartphone.
Poi è anche abbastanza coglione da attaccare briga coi Vendicatori e lasciarsi andare troppo all'istinto, però indubbiamente è uno Spiderman più efficiente del precedente.

La serie è bella?
Si, indubbiamente continuerò a seguirla a meno che non succeda qualcosa di seriamente deludente.

In ogni caso continuo a pensare che questo cambio di rotta non possa durare poi molto: la mia umile previsione è che in vista dell'uscita del secondo film di Amazing, sul fumetto le acque si smuoveranno di nuovo... staremo a vedere!

mercoledì 22 maggio 2013

Naruto - spoilers - capitolo 631

Riaccendermi l'entusiasmo con due pagine.
Naruto fa anche questo.
Ti stupisce ancora dopo anni di alti e bassi, robe prevedibili, robe prolisse.
Però è bello Naruto. Ma proprio bello bello.
Evvai che si corre verso il grandioso finale.





martedì 21 maggio 2013

The Name Of The Doctor

E va a finire anche questa settima stagione del Dottore, che personalmente ho adorato.
La mia reazione alla puntata è stata tipo

SAGBRFASKJNCAòEASNDVBSòJNDVBHFBVHSBJLAJNCDKJXNSAJLBVHBFLKSNVCVCDSAHDBCJNCXLKJNCKJNSFHBVHBREDCVCVCVCDSAHDBCJNCXLKJNCKJNSFHBVHBREDCVCBBSKDHVBFLSIBNCHBDBVSLJLJSAHBVKJDFVKCHBASCHDVJHDBSLACNSHDBVLDSANCJDKJHFHHRLSBACVCVCDSAHDBCJNCXLKJNCKJNSFHBVHBREDCVCBBSKDHVBFLSIBNCHBDBVSLJLJSAHBVKJDFVKCHBASCHDVJHDBSLACNSHDBVLDSANCJDKJHFHHRLSBACDBJHDBSJKAVBHLBSLDBJHDBSJKAVBHLBSLBBSVCVCDSAHDBCJNCXLKJNCKJNSFHBVHBREDCVCBBSKDHVBFLSIBNCHBDBVSLJLJSAHBVKJDFVKCHBASCHDVJHDBSLACNSHDBVLDSANCJDKJHFHHRLSBAVCVCDSAHDBCJNCXLKJNCKJNSFHBVHBREDCVCBBSKDHVBFLSIBNCHBDBVSLJLJSAHBVKJDFVKCHBASCHDVJHDBSLACNSHDBVLDSANCJDKJHFHHRLSBACDBJHDBSJKAVBHLBSLCDBJHDBSJKAVBHLBSLKDHVBFLSIBNCHBDBVSLJLJSAHBVKJDFVKCHBASCHDVJHDBSLACNSHDBVLDSANCJDKJHFHHRLSBACDBJHDBSJKAVBHLBSLNCHBDBVSLJLJSAHBVKJDFVKCHBASCHDVJHDBSLACNSHDBVLDSANCJDKJHFHHRLSBACVCVCDSAHDBCJNCXLKJNCKJNSFHBVHBREDCVCBBSKDHVBFLSIBNCHBDBVSLJLJSAHBVKJDFVKCHBASCHDVJHDBSLACNSHDBVLDSANCJDKJHFHHRLSBACDBJHDBSJKAVBHLBSLDBJHDBSJKAVBHLBSLBBSVCVCDSAHDBCJNCXLKJNCKJNSFHBVHBREDCVCBBSKDHVBFLSIBNCHBDBVSLAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAARGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGHHHHHHHHURGLE.

No, davveDSIBVSLFBANKJD.NCKJAS,ND.

Giuro.

BOOM. Sono esploso.

Puntata bellissima, forse la più bella puntata del Dottore che mi sia mai capitato di vedere. Bella perchè la storia è forte e regge benissimo, bella perchè nostalgica, bella perchè epica, bella perchè lirica, malinconica, bella perchè alcune domande trovano risposta e bella perchè altre domande nascono, assieme a un nuovo inizio.
E bellissima perchè Moffat ci ha trollati tutti. Ancora.

Bè, non c'è molto altro da dire oltre questo. Lagrime dulci nel rivedere tutti i Dottori: la prima scena con Clara che parla al Dottor Hartnell e lo zoom che si riduce e ti sbatte in faccia che sei su Gallifrey ti fa saltare la testa.
Lagrime dulciamare per quel bacio bello bello che il Dottore dà a River.
Lagrime che non fai in tempo a metabolizzare che parte la bestemmia sul finale.

Ritmo perfetto, colpi di scena perfetti, recitazione perfetta, Doctor Who si riconferma la miglior cosa là fuori. Punto.

E ora passiamo a qualche fatto simpatico.


Tipo questo, che è Matt Smith, il nostro undicesimo Dottore. Pelato come Crilin. E palestrato.
Grida di rabbia astio e rigetto!
Ha preso la tonsura per fare il suo debutto a Hollywood nella parte dello zingaro delle giostr...hemm... del cattivo in How To Catch A Monster.
Il Dottore senza ciuffettone e senza fisico a stecca un po' fiappo non è il Dottore, avranno pensato in tanti...
Sappiate che ad agosto iniziano le riprese dello speciale di natale e Matt è così. Avremo un Dottor Matt, rigenerato in Dottor Eccleston?



 Si, non ho potuto fare a meno di notare la somiglianza col rumeno/bosniaco/quelcheè di gta.


E lui, questo attore che io gli ho sempre dato dell'inutile faccia da pesce è Ryan Gosling, che ultimamente in America fa furore, che mo ha deciso di mettersi dietro la cinepresa e si, insomma, è lui il responsabile della tonsura di Matt Smith: giocateci a freccette coi coltelli dello chef Tony.



E poi c'è il troll definitivo. Questo.


Che per inciso è il mio professore di Giapponese Classico.
Ho scoperto il nome del Dottore: si chiama Aldo Tollini!



Della Carne dell'Incanto del Sogno e dell'Età Sottile


Questa nasce come la recensione de L’Età Sottile, ultimo libro di Francesco Dimitri.
Però cresce come altro.
Mi sembra doveroso parlare prima di Francesco Dimitri che della sua creatura.

Francesco Dimitri è uno scrittore di talento, un mago, un amico.
Lui forse non lo sa, ma fondamentalmente per me prima di tutto è un amico.
E non uno a caso.
Sai quell’amico che ci cresci insieme, perché ti ritrovi a passarci quell’età sottile che ti accompagna in quella macchina di una catena di montaggio dentro la quale ti trasformi da bambino a uomo, che la gente chiama liceo?
Ecco, lui.
Allora vi racconto anche un po’ di me.
Al liceo eravamo sempre noi tre, Riccardo Rossi, Francesco Dimitri e io.
Francesco non è che proprio c’era c’era, con la sua tuba e il suo sorriso che ti scalda il cuore. C’era si, in una forma non fisica, ma non per questo meno vitale e basilare.
C’era sotto forma di libri.
Riccardo Rossi è l’unico ricordo che mi rimane del tempo passato nella sezione A del mio liceo classico.
Lui e le sue stranezze, lui e i suoi scatti, lui e il suo essere schivo. E’ stata la prima persona che conobbi il primo giorno di scuola: esordii “ciao come va, anche tu qui per il classico?”, lui rispose da dietro i suoi immancabili occhiali da sole “vaffanculo”.
Credo di averlo toccato fisicamente per la prima volta cinque anni dopo, se escludiamo le volte che abbiamo fatto finta di prenderci a pugni, e quelle che ci abbiamo provato per davvero ma tanto eravamo scarsi entrambi, quindi meglio di no.
Eravamo gli unici due della classe ad essere appassionati di rap (io americano, lui italiano) e di fumetti (io nippo-americani, lui nippo-italiani), e al sabato pomeriggio ci ritrovavamo alla stazione dei pullman e davamo vita al nostro personalissimo pellegrinaggio alla volta del Tempio delle Storie che i normali chiamano fumetteria, dall’altra parte della città, alle volte anche senza dirci una parola. Però sempre insieme come Stanlio e Ollio (io ero quello grasso) ma secondo noi più fighi.
Passavamo le giornate a fare tutto meno che quello che uno dovrebbe fare in classe.
Urlavamo, ballavamo, disegnavamo (e quanto abbiamo disegnato), scrivevamo storie, scrivevamo canzoni, studiavamo dell’altro, leggevamo libri.
E poi lui un bel giorno se ne esce con quella cosa meravigliosa che tutti i bambini sognano ma quelli che si sentono adulti, gli adolescenti, non hanno il coraggio di andare a cercare: la magia.
Tra le tante letture di magia, alchimia, sciamanesimo, arti marziali, teorie del complotto, Aleister Crowley, ecco che salta fuori Francesco.
Lo scoprì lui. I libri li comprò lui, perché all’epoca io dovevo recuperare i manga di One Piece e non avevo i soldi. Ce ne cibammo entrambi.
Per anni. E Francesco diventò uno di noi, uno a cui piacevano le stesse cose che piacevano a noi pecore nere del liceo classico della Piacenza bene.
Uno che aveva avuto le stesse esperienze a scuola: prima liceale classico frustrato, poi universitario con le ali tarpate.
Poi se ne vola, con le ali non più tanto tarpate, a Londra, e noi a sperare che la profezia Dimitri si avveri anche per la parte sul futuro.
Nel frattempo semina libri che sono capolavori. Prima saggi, poi romanzi. Che ti insegnano la vita, la fantasia, la poesia delle cose.
Francesco Dimitri è uno di noi, uno a cui piacciono le stesse cose che piacciono a noi, uno che ha fatto le stesse cose che abbiamo fatto noi, solo prima, e che gli sono andate bene.
Un amico, un maestro.
Francesco Dimitri dopo anni lo abbiamo incontrato a Torino. Ci ha fatto l’autografo sulla copia di Alice nel Paese della Vaporità, e ci siamo fatti pure la foto insieme.
Dopo siccome non ne avevamo abbastanza siamo andati a trovarlo pure a Lucca, e lui si ricordava di noi.
Al momento di fare la tesi di maturità, io scrissi un libro sul Giappone e lui molto gentilmente si propose di leggerlo, e ne scrisse un commento. Io ho un commento di uno scrittore affermato sulla tesi di maturità. Che fa strano dirlo, perché il rapporto che ho, che abbiamo con Francesco Dimitri, difficilmente è etichettabile come un rapporto fan-rockstar. A Riccardo, sempre per la tesi, ha concesso addirittura un’intervista completa.
Esce fuori che potrei andare a finire l’università a Londra? Chiedo a Francesco.
Il quale, tempo un giorno, mi ricopre di informazioni su prezzi, abitazioni, lavoretti.
Non ne sono certo, ma non credo che sia una cosa da tutti.
Francesco Dimitri è quell’autore che nella guerra dell’editoria sta dalla parte del suo pubblico: appoggia la pirateria laddove possa permettere ai lettori di entrare in possesso delle sue storie, rese irreperibili da politiche editoriali fallimentari. E’ pragmatico, lucido. E’ quel tipo che quando esce il libro in edizione cartacea e ebook ti viene da chiedergli quale faccia arrivare più soldi alla sua persona, che ti piace di darglieli due soldi, al ragazzo, mica alla casa editrice. Che non lo vivi neanche come un pagamento, ma come offrire una birra a un amico, aiutare il tuo coinquilino in difficoltà ammollandogli cinque euro.
Francesco Dimitri nel suo ultimo libro cita a raffica: i suoi vecchi personaggi, Neil Gaiman, i fumetti Marvel, i Rolling Stones, Harry Potter, Doctor Who, Buffy e un quintale di altri miti della nostra età sottile.
Quando leggi un suo romanzo non hai la sensazione di essere uno che legge il romanzo di un estraneo: vivi il suo libro come un messaggio privato, la chiacchierata con un amico, ma stretto, del tuo stesso circolino, che si riferisce alle cose dando per scontato che tu le conosca, e tu però conosci cose di nicchia.
Parla al cuore.
Ed è una cosa molto, molto profonda.
Francesco Dimitri racconta di Riccardo Rossi, di me. E il bello è che non è vero, perché racconta di lui.
Ed è un mago nel farlo, considerato che se anche avessi qualche ultima reticenza nei confronti della magia, bè, lui la demolirebbe.
Francesco Dimitri è un amico, di cui vado orgoglioso; è un amico che scrive dei libri fantastici, dei capolavori.
E questa volta, con “L’Età Sottile” l’ha fatto di nuovo.
Grazie Francesco, per le tue storie, per le nostre vite che hai contribuito a plasmare (per il meglio), e.. bè, per tutto il pesce.

E adesso via alla recensione del libro.




“L’Età Sottile” è un capolavoro. E fin qua, mi sembra quasi di ripetermi.
Parla di magia in modo realistico, coi piedi per terra.
E’ un po’ romanzo di formazione, un po’ manuale di magia, un po’ prova per i poco convinti e un po’ buon romanzo e basta, per gli scettici tanto scettici da non credere all’ovvio.
E’ il ritratto più accurato dell’adolescenza che io abbia mai visto. Meglio di qualsiasi trattato di insegnanti, filosofi, sociologi, moccia (e che te lo dico a fare).
Restituisce il giusto peso alle passioni, alle piccole cose che in quell’età sono grandi.
Non c’è nostalgia e non c’è nemmeno la voglia di tingere di epico qualcosa che epico non è.
Però c’è un grande insegnamento: la realtà, il mondo, la società… sono tutti concetti che non devi farti imporre. Li costruisci tu. E poco importa se ciò che usi per costruire il tuo mondo lo chiami studio, magia, farti il mazzo, intelletto, bicipiti.
Potranno avere tutto di te, potranno annichilirti, potranno imprigionarti in una grigia routine per il resto dei tuoi giorni, ma non farti mai rubare la poesia, l’immaginazione, la capacità di vedere, di creare bellezza.
Il mondo è come lo vedi, e sei tu a decidere come vederlo. Questa è la più grande delle magie.
Poi se vuoi puoi lavorare sull’Avada Kedavra.
Il libro ha circa quattrocento pagine, che leggi in quattro minuti, perché la favella di Francesco è qualcosa che può facilmente essere più coinvolgente del sesso (non il sesso con la mia fidanzata, il sesso in senso lato) e ti ritrovi a volerne ancora poco dopo che Amazon te l’ha fatto arrivare.
Francesco sarebbe da mandare a fare un master da George R.R. Martin, così magari ci caccia la saga pluridecennale e difficilmente ti lascia a secco!
“L’Età Sottile” si fa leggere con l’adrenalina in circolo: provi a livello fisico sensazioni forti di ansia, mancanza del fiato, stanchezza, come dopo una corsa.
Sarà perché l’ho letto in corsa contro il tempo prima degli esami universitari.
“L’Età Sottile” è la più bella cosa che vi possa capitare di leggere quest’anno.
Senza dubbio poi è la miglior cosa ITALIANA che vi possa capitare di leggere quest’anno.
E anche solo per questo merita di essere comprato, un po’ come tutti gli altri libri di Francesco.
Leggetelo.
Non dormirete più alla stessa maniera.