lunedì 25 febbraio 2013

One Piece Romance Dawn 冒険の夜明け - la recensione


Lo si aspettava da tempo un gioco di One Piece sulla PSP.
E' stato difficile ma ce l'hanno fatta a portare l'antico vaso in salvo, quelli dell'Amaro Montenegro, e ci hanno fatto penare, ma eccolo qua, One Piece Romance Dawn, sotto sotto al limite della produzione dei giochi per la portatile Sony che conta (quella nuova non è tanto brava a contare.. si ferma verso il 3, il 4).

Questo videogioco è stato una scelta abbastanza coraggiosa per certi versi:
Innanzitutto è un gioco di ruolo. Sarebbe potuto essere qualsiasi altra cosa, un picchiaduro, un Dynasty Warriors come su consolle casalinghe, che tra l'altro credo sia lo sbocco naturale di One Piece nel mondo dei videogiochi.
Poi copre l'arco narrativo dell'inizio dell'avventura, quando oramai gli ultimi 3-4 giochi della saga sono ambientati nell'arco del Nuovo Mondo.
Sono scelte che pagano?
Direi di si, specie la seconda. Della prima parliamo ora, in un elenco per punti.

1) LE DINAMICHE DI GIOCO SPIEGATE A MIA NONNA
In pratica dal menù del titolo si viene trasportati (dopo una fantastica sigla animata realizzata per l'occasione) su una mappa del mondo e man mano che si prosegue nel gioco compariranno delle rotte e delle isole. Il nostro cursore sulla schermata della mappa sarà la nostra nave (dal primo guscio di noce fino alla Sunny) e stazionando su un'isola potremo accedere a un menù in cui ci è permesso di scendere a terra, potenziare o equipaggiare i personaggi, salvare il gioco, accedere al forziere del tesoro dove terremo i nostri oggetti, e sintetizzare gli oggetti, che per gli amici più nerd è il crafting.
Ci sono tre tipi di isole per quanto ho scoperto io fino ad ora (sono 9 ore che gioco): le isole della rotta della storia, le isole bonus e le isole filmato.
Le prime sono le celeberrime ambientazioni dell'anime, le seconde sono livelli buttati lì tanto per farti allenare i personaggi e raccogliere oggetti, le terze... bè, fondamentalmente sono gran chiacchiere da quando scendi a terra e appena finisce il filmato ti ritrovi in mare e dici: "macheccazz..."
Scopo del gioco sarà completare la rotta dal villaggio Fusha in cui ha inizio la nostra avventura con un sacco di parlaparla fino a Marineford, in una sequela di potenziamenti ai personaggi, sessioni di esplorazione costellate di combattimenti e boss finali senza soluzione di continuità.


2) I MOMENTI DI ESPLORAZIONE
Si può giocare un videogioco per tanti motivi: perchè la storia è avvincente, perchè a livello di dinamiche ludiche è innovativo o stimolante, perchè la resa grafica appaga, per esplorare un mondo di gioco ben realizzato, perchè si è curiosi di vedere cosa viene dopo o semplicemente per sbloccare.
Romance Dawn a questo proposito è un po' troppo sterile: la storia la si conosce già, salvo qualche innovazione di cui parlo fra un attimo è il solito jrpg, la grafica è bella ma con discontinuità, e anche di questo parlo fra un attimo, il mondo di gioco non è ben realizzato, non si è poi troppo curiosi di vedere cosa viene dopo sempre perchè lo si sa già, e quindi l'unico motivo che spinge il giocatore a farsi il culo è il tentativo di sbloccare personaggi, tecniche ed equipaggiamenti vari.
Naturalmente per sbloccare personaggi, tecniche ed equipaggiamenti si deve esplorare a fondo il mondo di gioco ed eccoci a parlare quindi di come questo è realizzato.
I livelli sono labirinti inframezzati da nemici a gruppi di 3 o 5, forzieri grandi e piccoli, botti e casse abbastanza inutili, che nei primi livelli contengono soldi, poi neanche più quelli.
I livelli della storia, onor del vero, sono caratterizzati meglio degli altri ad hoc (che a vederli ti viene la stessa sensazione di quando in un anime guardi il filler. Lo percepisci che non c'entra una sega): la nave del capitano Kuro con la polena a forma di faccia di gatto, la piattaforma del Baratie dove combattono Zoro e Mihawk... Però per il resto sono talmente finti e ripetitivi che sembra di esplorare un outlet.
Se il livello è ambientato in città, le strade sono squadrate e perpendicolari, con case tutte uguali in serie; ci sono livelli ambientati sotto terra, o in una foresta, e in questi i sentieri sono sinuosi e intrecciati come un labirinto e non c'è nessun punto di riferimento tanto che sono scarni e ripetitivi.
Ripeto, non c'è nessun punto di riferimento. Quindi a ogni incrocio tocca riaprire la mappa e vedere cosa non si è ancora esplorato nella speranza di trovare l'uscita. Ma se devi allenare i personaggi e raccogliere oggetti non basta trovare l'uscita, è necessario esplorare tutto. E ogni livello ha 3 o più piani, enormi, tutti uguali, senza punti di riferimento, da esplorare. Morale che dopo 9 ore di gioco mi trovo ancora al Baratie (in pratica dove compare Sanji). E il livello del Baratie è ancora più mindfuck perchè si tratta di camminare su sentieri fatti di assi di legno e tutt'intorno l'azzurro del mare e del cielo. E nulla altro.
Il momento esplorazione è quindi il più palloso del gioco, brutto, purtroppo necessario, ma soprattutto (tristissimo quando accade) difficile non volutamente, bensì difficile a causa di una magagna nella progettazione forse imputabile alla sciatteria di chi si è occupato degli ambienti.
O forse in un gioco così ambizioso su consolle portatile, per definire meglio personaggi e cinematiche delle mosse si doveva lesinare su qualcosa...

3) IL SISTEMA DI COMBATTIMENTOEccoci ad analizzare l'aspetto a mio parere più interessante del gioco. One Piece si presta a un picchiaduro, per via della sua vocazione alla mazzata e alla supertecnica. Ma se vogliamo si presta anche al genere gdr, con tutti quei poteri e un mondo così ben caratterizzato e (purtroppo non in questo gioco) bello da esplorare.
I tizi della Bandai in questo hanno vinto e sono riusciti ad elaborare un sistema di combattimento che è la fusione perfetta tra l'esperienza di un gdr e la libertà d'azione di un picchiaduro.
Il combattimento si svolge entro due cerchi concentrici nei quali ci si può muovere liberamente, a patto di tenere conto che se si oltrepassano i confini di questi per attaccare un avversario, alcuni parametri del nostro personaggio calano.
L'attaccante ha a disposizione tre schermate in cui a ognuno dei pulsanti  Δ O X ロ corrisponde una tecnica che eventualmente si può concatenare con altre per creare una combo. Potendo scegliere l'angolazione da cui attaccare un avversario è possibile ricavarne dei bonus: se ad esempio si riesce a sbatterlo contro un muro il danno sarà maggiore e le possibilità che droppi qualche oggetto aumenteranno.
A prima vista sembra uno stile di combattimento molto semplice e frenetico, ma più si va avanti col gioco e più se ne scoprono le sfaccettature strategiche, come l'oculatezza nella decisione della posizione d'attacco o di quella del personaggio principale, l'indirizzare l'attaccante migliore contro l'avversario più adeguato, sfruttare al meglio gli attacchi diretti e quelli dalla distanza.
Molto divertente e se vogliamo anche innovativo. Promosso a pieni voti.





4) IL CRAFTINGQualcuno me lo spieghi perchè non l'ho capito. L'ho letto e riletto, ho perfettamente compreso quello che devo fare, sono sicuro di conoscere abbastanza giapponese da capire le istruzioni per fare una cosa in un videogioco ma al momento di fondere due oggetti non funziona più nessun pulsante. Sto cominciando a pensare che sia un problema del mio gioco. Peccato, perchè pare che sintetizzando gli oggetti si ottengano capi di equipaggiamento simpatici da dare alla ciurma di cappello di paglia, come il cappello di Ace, i tamburi del dio Eneru, dei baffi finti, la bandana per Zoro e vari altri vestiti.
Forse devo raccogliere più oggetti?
Non so... fatto sta che il 90% degli oggetti disseminati nel gioco (eccetto quelli che ripristinano energia e stamina) sono inutili e unicamente finalizzati a questo cazzo di crafting (di cui per altro su internet non è diffusa nessuna lista).
Ho sempre odiato il crafting. Nei giochi è una delle cose che odio maggiormente.
Me ne farò una ragione.


5) LA RIPARTIZIONE DELLA DIFFICOLTA'Pensavate che la cosa peggio fatta di questo Romance Dawn fossero gli ambienti?
E invece no, è un vairus.
La ripartizione della difficoltà in questo gioco è bizzarra, una burletta, una presa in giro al giocatore che purtroppo rende spesso l'esperienza ludica un tantino frustrante (a meno che non siate un videogiocatore come me, che a volte ha bisogno di staccare completamente la testa, pigiare pulsanti e ritrovarsi al ritorno della sua coscienza, avanzato di qualche livello).
Ci sono livelli in cui soccombi allo scagnozzo casuale inutile concepito solo per prendere il proverbiale cazzotto-di-Bud-Spencer dal protagonista di turno e magari al livello prima hai asfaltato il boss finale senza battere ciglio (che non si sa mai ci sia un Weeping Angel nascosto da qualche parte oh).
Per esempio a me è capitato di morire nella prima isola contro gli scagnozzi del capitano Morgan, ma di battere lo stesso boss al primo colpo al secondo tentativo di affrontare il livello.
Oppure di essere malamente ucciso da Baggy il Clown al primo colpo, e dopo un solo livello completato per allenare i personaggi, tornare ad affrontare il boss sconfiggendolo e mantenendo più di metà della vita.
Oppure ancora, dopo aver eliminato Capitan Kuro senza scompormi, nell'immediatamente successivo scontro tra Zoro e Mihawk non c'è stata storia, e come se non bastasse ho faticato tantissimo con Rufy e Sanji contro i tirapiedi di Don Krieg.
Situazioni del genere ti costringono a macinare livelli su livelli di quelli che non appartengono alla storia e sono disegnati male, al fine di livellare i personaggi, potenziargli le tecniche e sperare che risucceda il miracolo che quando ritorni ad affrontare Mihawk lo batti senza fatica e ti domandi pure come hai fatto a perdere la volta precedente, babbo.
Il risultato è un progressivo abbassamento del sacchetto scrotale, un calo importante dell' autostima, e il fatto che dopo quasi 10 ore di gioco ho completato solo 3 isole della modalità storia. Brutto vizio dei Giapponesi: fare giochi che ti richiedono davvero un sacco di tempo e un'applicazione di una costanza quasi religiosa; che per Monster Hunter ci può stare, ma per un rpg semiraffazzonato di One Piece anche no.
Gli scontri in solitaria poi sono la merda.
Abituato come sei a combattere in tre contro tre, dove i tre avversari infliggono un danno tra 1 e 39, è un po' uno shock trovarsi catapultati in una battaglia uno contro uno con un boss che in media infligge dai 100 ai 149 a colpo.
Naturalmente muori male, anche perchè essendo da solo non hai il supporto di un personaggio che ti curi, e a voler recuperare un po' di vita devi sacrificare una preziosa possibilità di attaccare l'avversario. Quindi per venire fuori da questo tipo di scontri occorre raggiungere una superiorità schiacciante, raggiungibile mediante estenuanti sessioni di farming, in cui però ti senti idiota perchè i nemici sono troppo pippa.
Quindi si alternano combattimenti troppo facili ai limiti dell'automatismo, che attaccano una noia mortale e danno poca esperienza (quindi per salire di livello impieghi un sacco) a combattimenti troppo difficili in cui ti accorgi che non sei per niente forte come pensavi e devi tornare a falciare l'erba finchè non diventi il re dei boscaioli.


6) LE CHIACCHIERE
Paradossalmente il punto in cui parlo della verbosità di One Piece Romance Down è quello più breve e conciso.
In pratica questo gioco è pieno di dialoghi. Troppo.
E mi direte che avrei dovuto immaginarlo, vista la mania dei Giapponesi per filmatoni e dialogoni infiniti.
Ok.
Ma è pur sempre One Piece, non un Final Fantasy. Quindi ok due dialoghini, ma poi basta, anche perchè in One Piece non è che dicano molto a parte Kaizokuou ore wa naru.
E invece la prima sera che ci ho giocato ho attaccato alle 10 e ho finito all'una. E feci solo un piano del primo livello.
Dialoghi su dialoghi su dialoghi, in stile visual novel tanto amate dai giapponesi, lunghissimi, che ripercorrono tutta la storia del manga che non trova spazio nelle scazzottate e nei livelli disegnati male, che durano anche 20 minuti l'uno. 20 MINUTI.
Che all'inizio ci ho provato a leggerle (anche perchè ci sono 30 minuti di video inediti di vecchie scene dell'anime ridisegnate per l'occasione con la grafica moderna e non me le volevo perdere), ma vuoi perchè già conosco la storia, vuoi perchè il gioco è tutto in Giapponese e per leggere tutto in Giapponese ci metto un po' di tempo, ho buttato dentro.
Riconosco però che per chi sa il Giapponese e vuole ripassarsi la storia di One Piece perchè oramai son più di 10 anni che va avanti e un po' se l'è scordata, questo gioco è il mezzo perfetto.

IN CONCLUSIONE:
One Piece Romance Dawn 冒険の夜明け è un bel gioco. E' un bel gioco di One Piece. Ed è One Piece per la PSP.
Anche solo per questo meriterebbe di essere promosso.
La grafica è bella, la storia è bella (anche se magari si conosce già), l'arco narrativo coperto è immenso, i personaggi sono tanti e ben realizzati, i combattimenti sono divertenti anche se la facilità di alcuni lascia interdetti di fronte alla difficoltà di altri.
Pecche si trovano nei momenti di esplorazione a causa della praticamente inesistente caratterizzazione degli scenari, e in un sistema di crafting poco chiaro o troppo pretenzioso.
Alla luce di tutto ciò gli do un 7/8.
Si poteva fare meglio, ma sono contento così.

martedì 12 febbraio 2013

L'Italia che ha paura di ridere


Pochi minuti fa Maurizio Crozza ha cercato di dare inizio al suo sketch comico al Festival di Sanremo.
Dico che ha cercato perchè è stato ostacolato dai fischi di pochi facinorosi.
E dico che erano pochi perchè gli applausi erano molto più fragorosi dei fischi e perchè il pubblico stesso si è messo a litigare coi detrattori urlando loro tra le altre cose di andare fuori. (Arriva in tempo reale la notizia che i provocatori che fischiavano erano due. solo due).
E' evidente come il nano abbia mandato la claque.
Lo spettacolo è stato triste.
Anche perchè pago il canone, e mi dispiace vedere del trash anche nello spettacolo che in linea teorica dovrebbe mettere d'accordo tutti gli Italiani.

Ora voglio riflettere su questo: in Italia la comicità fa paura.
E che io sappia, questo è vero da quando il nano è in politica. A quanto pare non sa stare agli scherzi.
Fateci caso: la situazione quando in un programma televisivo interviene il comico è sempre tesa.
Luttazzi, Cornacchione, la Litizzetto, Crozza, Grillo.
E non venitemi a dire che sono comici schierati (Grillo ok, è in politica da un po' ma gli altri non sono più schierati di un comune cittadino che ha delle idee e in base a quelle vota).
I comici sono persone scomode, sono quelli che si teme sempre che dicano qualcosa che la gente non dovrebbe sapere, sono diventati un po' la coscienza di stato, aprono gli occhi alle persone, e questo a qualcuno non piace, tanto che vengono umiliati, bistrattati e spesso anche denunciati.

Ho la netta impressione che però la gente fatichi sempre di più a cogliere la scissione tra la politica e la satira.
Forse perchè sono vent'anni che chi governa fa il pagliaccio?
C'è chi sovrappone il momento Travaglio da Santoro al momento Crozza da Floris, ma Travaglio è un giornalista e Crozza è un cabarettista. Le cose sono diverse ed è bizzarro e pericoloso il fatto che inconsapevolmente la gente le accosti.
Chi fa satira non fa cronaca, non fa politica, non fa trattati di storia.
Parlavo proprio adesso con un ragazzo che si lamentava di come nel suo intervento Crozza avesse alluso all'unità della Germania come una cosa che si protrae dall'epoca di Carlo Magno mentre invece c'è stato Napoleone ecc. ecc. ecc.
Gli facevo notare che Crozza con questo parallelismo voleva solo far notare come l'Italia sia una nazione da molto meno tempo rispetto alle nostre cugine europee e che non c'è bisogno che sia accurato perchè lui DEVE FAR RIDERE, non deve fare IL PROFESSORE DI STORIA.
Ho sempre pensato, a questo punto mi vien da dire ingenuamente, che il comico fosse quello col compito di far ridere, non di far venire l'ansia.
E io così lo vivo.
E se devo dirla tutta mi risulterebbe alquanto strano dover temere i comici, nel Paese in cui la politica la si fa con la fregna e col pallone, nei salotti televisivi pomeridiani con le intervistatrici improvvisate e prezzolate invece che nelle aule del Parlamento.

I comici si stanno avviando sempre più velocemente su una strada in cui diventano i capri espiatori di un potere corrotto che dirotta su di loro rancori e paure per sviare le attenzioni della gente dalle loro magagne.
Panem et circenses.
Però più prendo coscienza di questo messaggio subliminale che tentano di inculcarci, che il comico fa paura, è brutto sporco e cattivo, più mi assalgono rabbia e dispiacere.
Siamo un paese che non è più capace di ridere.
Siamo il Bel Paese, ma ci avviamo a diventare un paese triste.
Che amarezza.

domenica 10 febbraio 2013

Django Unchained - due parole su

La mia recensione di Django Unchained arriva tardi.
Questo perchè il film l'ho visto tardi causa altri impegni nell'ultimo periodo.
Perciò sarà una cosa un po' diversa rispetto a una classica recensione.
C'è chi lo ha descritto, chi lo ha criticato, chi ne ha rintracciato le varie citazioni, chi lo ha raffrontato con le produzioni precedenti del geniaccio Tarantino...
Non farò niente di questo: c'è chi appunto l'ha già fatto, e per il resto c'è google.
Mi limiterò a una veloce disamina su quello che per me è il mondo del cinema oggi.

L'industria cinematografica di oggi, come quella letteraria di cui scrissi tempo addietro, è ricoverata coi malati terminali e tira avanti solo in base a logiche di soldi e creazione di aspettative negli spettatori (che mo lo chiamano hype e fa figo).
Domandatevi, quanti film ultimamente sono stati pensati appositamente per il cinema, senza essere stati tratti da nient'altro o senza essere seguiti o prequel di altri film?
I cinema sono invasi da prodotti di qualità medio-bassa, basati sugli effetti speciali e su format di sicura presa sugli spettatori, insomma roba da non rischiare.
Libri che vendono bene hanno i loro film, TUTTI i fumetti hanno i loro film, ogni film diventa una serie, le serie durano all'infinito, talvolta i telefilm hanno dei loro film, anche le linee di giocattoli hanno i loro film.
La verità è che la logica del profitto senza dietro la passione ammazza la fantasia.
E quindi è finita l'epoca che andavi al cinema, sceglievi un film a caso e ti facevi stupire.
Ora sai già di che morte muori prima ancora di arrivare alla biglietteria, e lo sai grazie a tutte quelle sottili operazioni pubblicitarie atte a far filtrare le informazioni centellinandole a partire da mesi, addirittura anni prima dell'uscita di una pellicola: qualche foto scattata sul set, piccole anticipazioni sulla trama, trailer troppo scollacciati, anteprime del merchandising che svelano dettagli sul film, registi indiscreti, staff chiacchierone...
E io mi sono rotto di tutta questa ripetitività, di questa logica da videogioco, che si punta tutto sulla grafica e la trama la lasciamo a casa, questa sconosciuta.
Oggi un film lo si fa per non farsi scadere i diritti di un personaggio (Spider Man), per ribattere a una mossa della concorrenza (Justice League)... che non importa se fa cagare (Justice League) ma si deve fare per non essere da meno degli altri.
I film non li si fa più perchè c'è voglia di farli.
E quando un lavoro di creatività diventa un lavoro da timbrare il cartellino allora subentra una certa tristezza e la qualità ne risente.

Poi c'è Tarantino, che è un Autore con la A maiuscola, di quelli che dici che fa cinema d'autore.
E' quello che ha portato la cultura popolare, la rozzezza, la scurrilità e il postmodernismo nei salotti buoni del cinema, nei festival internazionali.
E' quello che tratta male i giornalisti ma siccome fa dei gran film non è che gli puoi dare la nota sul registro.
Tarantino ha questa sua tecnica particolare di saccheggiare a mani basse la cultura pop, ibridare generi e creare qualcosa di nuovo, pazzo, meraviglioso e coerente. Ma soprattutto bello.
Fa film originali lui, e quindi fa film che ti stupiscono, perchè non sai cosa aspettarti.
Aaaaaaah, la genuina meraviglia del cinematografò, che gusto che dà.

Questo Django è un western;
parla di schiavitù e di razzismo che potresti farlo vedere nelle scuole per il giorno della memoria, altro che ebrei, così i bambini si appassionano davvero alla questione e non la liquidano allo scadere dell'assemblea di istituto;
è anche una storia di vendetta come potrebbe essere un classico film di samurai anni 60.
Due cose avrei voluto vedere in questo film e non le ho viste:
Samuel L. Jackson o Jamie Foxx che recitano Ezechiele 25:17, e un cammeo di Bud Spencer e Terence Hill seduti in un saloon a mangiare fagioli, senza dire una parola.
Non ho trovato queste cose ma ho trovato altro, e il film è comunque un capolavoro.

Ma l'unica cosa che conta di questa quasi recensione, potete anche non leggere tutte le menate che ho scritto fin qua, è che si tratta di UN WESTERN, AL CINEMA, NEL 2013.
Potrebbe anche essere una merda, ma sarebbe pur sempre UN WESTERN, AL CINEMA, NEL 2013, e in quanto tale, sellate i cavalli e galoppate tutti quanti a vederlo, peste vi colga!


FIN




lunedì 4 febbraio 2013

L'uomo coi pugni di ferro - la recensione



Un signor film.
Tasso di tamarraggine: quello che ti si ferma di fianco al semaforo con i finestrini aperti e la musica a palla guardandoti con aria di sfida.
Tarantino non c'entra niente e c'entra tutto.
Non c'entra niente perchè non fa nè il produttore nè il regista nè la comparsata, a meno che non si sia travestito gran bene da cinese e io vista l'ora non me ne sono accorto, quel vecchio marpione. C'entra tutto perchè RZA ha adottato la tecnica di Tarantino e pure un po' le tematiche del regista e si è lanciato in una sua digressione personale sulla Cina classica.
Film notevole per diversi aspetti, primo tra tutti il fatto che il regista e ideatore della storia sia il rapper RZA dei Wu Tang Clan.
Secondo poi, perchè è uno dei pochi film originali per il cinema, non tratti da altro.
Terzo, perchè un film originale fatto bene lo doveva fare un rapper lo doveva fare, mica il regista famoso di turno (sottintendo un gioviale e nipponico baffankyuro ai vari Nolan, Cameron, Bay, Abrams).
RZA, vai e insegna agli angeli come fare il cinema.
La trama praticamente parla di...
Cast di attoroni: RZA nella parte di un fabbro negro nella Cina classica e nessuno si stupisce del perchè (che magari pensano che stando tanto a contatto con una fornace si diventi scuri).
Lucy Liu che fa la mignotta (tanto per cambiare. Si commentava ieri sera che con una certa sicurezza uno può affermare di ogni film, che c'è Lucy Liu che fa la mignotta e muore male. Spreco di fica asiatica ormai attempata).
Bautista il wrestler, del clan della tigre ("che lotta contro il male!"), che pratica un kung fu un po' legnoso e con le supplex, tutti lo scambiano per un cinese non so se per la stazza o per i tipici lineamenti fini da pittore di corte, e lui all'occorrenza diventa tutto di ferro. E, highlight del film, quando pompa i pettorali si sente rumore di sferragliamento. E lo spacchio scorre a fiumi.
Quella che fa ChiChi nell'aborto di Dragon Ball qua fa la mignotta. E io mi sono chiesto con rammarico perchè se tre quarti di questo film sono ambientati in un bordello non si veda neanche una tetta.
Poi c'è Russel Crowe nella parte del personaggio figo-Wolf-risolvo-problemi, che scopa come un coniglietto per tutto il tempo in cui non uccide la gente con il suo coltello rotante che spara shuriken e proiettili. Roba che ti vien voglia di cambiare la tua professione su facebook e metterci "da grande vorrei fare il Russel Crowe in questo film".
Insomma L'Uomo coi pugni di ferro ha di Tarantino la proverbiale spremuta di cultura pop: è un'accozzaglia di generi e stilemi disparati e trash rimescolati con sapienza per fare un film che piace.
E' la versione riuscita del tentativo miseramente fallito di quel poveretto di cui ho rimosso pure il nome che ha fatto Sucker Punch.
E' un sentito omaggio al cinema di arti marziali di Hong Kong (parlo come se a Hong Kong facessero altro cinema... me la immagino la storia d'amore del cinema di Hong Kong: due innamorati cinesi si baciano e volano sui tetti), ma anche al wrestling, allo splatter, al film di mafia, al rap di cui è composta tutta la colonna sonora, e all'intercultura nel senso migliore del termine. Ovvero di una cultura che entra dentro l'altra. Ovvero di Russel inglesecinico Crowe e R pugninellemani ZA che entrano nelle varie madame bocciolo.

Con i cammeo di:



Il maestro Splinter prima del fattaccio


la Perla Nera


Kung Fu Panda


Django


Il Genio delle Tartarughe



E non perdete il sequel: "Il coccodrillo come fa" (chi ha visto il film la capisce, chi no, si fotte)


domenica 3 febbraio 2013

A Big Hand for the Doctor - la recensione


50 anni, 11 mesi, 11 dottori, 11 autori, 11 ebook.
Questa una delle numerose iniziative per festeggiare il cinquantesimo compleanno del Dottore preferito di chiunque abbia avuto almeno una brutta esperienza in ospedale. No, scherzo, il preferito di tutti.
Questo per me è il libro delle prime volte:
-Primo libro scaricato a pagamento da Amazon (per quanto 1.99£ si possa considerare pagamento)
-Primo libro del Dottore
-Primo libro di Eoin Colfer (ma ora mi leggo anche Artemis Fowl, grossa lacuna della mia infanzia)

Il libro è breve: il progetto sarebbe selezionare 11 autori inglesi di grido e far loro scrivere delle storie con protagonisti i vari dottori per poi raccoglierle in un libro cartaceo a novembre, mese in cui Doctor Who venne trasmesso per la prima volta dalla BBC.
Questo ha come protagonista il grumpy Doctor William Hartnell, vecchio, scorbutico, amabile faccia di culo, nonno con nipote al seguito, che se la deve vedere con i Soul Pirates, bucanieri spaziali che rapiscono i bambini e gestiscono fattorie di corpi nelle quali coltivano organi per auto-trapiantarseli o per rivenderli.
Breve, intenso, scrittura intelligente, finale che scalda il cuore, il Dottore che nomina Hogwarts.

Da leggere assolutamente come gli altri 10 della collezione!