domenica 18 marzo 2012

Cast away...

Nostalgia nel rivedere il packaging dei vecchi giochi Game Boy


Grazie al mio cellulare con sistema operativo Android, ho la fortuna di poter usufruire di un emulatore per giochi del Game Boy Color.
Ringrazio Android e mi metto a cercare le rom di alcuni giochi che possiedo in originale e che vorrei rigiocare.
Tra i vari Pokèmon, Zelda e Super Mario, il primo che mi sono recuperato si chiama Stranded Kids e forse non lo ricorderanno in molti… poco male, perché sono qui per parlare apposta di questo!
Stranded Kids è un piccolo tesoro che ci ha regalato la Konami nel lontano 1999;
si tratta di un gdr modellato sulla grafica e il gameplay del più illustre The legend of Zelda Link’s Awakening (un altro amore videoludico della mia vita) ma se oggi sono qui a recensire SK e non Zelda è perché dal mio punto di vista quel gioco è ammirevole su tanti livelli che non sarebbe fuori luogo definirlo rivoluzionario.
Premetto che non voglio fare il nostalgico, ma al giorno d’oggi si dice che la creatività dell’industria videoludica sia morta, ammazzata dalla prassi di clonare i videogiochi di successo e di lavorare sull’esasperazione dell’ultra-grafica a scapito della trama.
Stranded Kids a questo proposito si presenta come un trampolino di lancio perfetto per sviscerare l’argomento: è l’esempio per eccellenza della vitalità e dell’originalità dei videogiochi all’epoca in cui la grafica era 2D a 8bit.





La grafica di gioco




Ma parliamo finalmente del gioco vero e proprio: dopo la scelta del sesso del protagonista (ricordo che era il ’99 e per attendere la possibilità di scegliere il sesso del protagonista nel più famoso Pokèmon si sarebbe dovuto aspettare il 2005 con Rubino e Zaffiro) una serie di schermate e dialoghi ci introducono all’incipit della storia, quella di un papà avventuroso che per il decimo compleanno del figlio/a lo porta a navigare e gli regala un coltello; il mare è calmo, ma durante la notte le condizioni atmosferiche cambiano, e la nave fa naufragio. Al mattino il/la protagonista si sveglia sulla spiaggia di un’isola e si mette alla ricerca del papà.
Se facciamo finta di non fare caso a qualche gossolana ingenuità, come il fatto che padre e figlio/a pilotino da soli una nave delle dimensioni di un transatlantico e ci concentriamo sul concept semplice ma innovativo del gioco, rimaniamo abbagliati dalla genialità di Stranded Kids.
L’idea di un survival in cui non bisognasse sopravvivere a orde di zombie o mostri o quant’altro ma semplicemente alla natura stessa di un’isola deserta non era mai stata sfruttata, e non la è più stata dopo SK, se non per i sequel, ai quali però non ho giocato.
Stranded Kids a dispetto della grafica obbligatoriamente semplice visti i tempi, nasconde una profondità e una complessità che spesso non sono state raggiunte neanche su consolle di nuova generazione: le statistiche di cui tener conto per esempio non si riducono semplicemente alla vita del personaggio, ma bisognerà controllare anche i suoi bisogni primari come fame, sete e fatica. D’altra parte è un survival.
Bisognerà esplorare l’isola alla ricerca di un papà che forse nemmeno troveremo, ma non siamo super eroi né guerrieri invincibili, quindi dovremo dormire e mangiare.
In un’isola deserta dato che non esistono supermarket saremo noi a doverci procacciare il cibo: possiamo andare alla ricerca di molluschi, erbe, funghi (non tutti commestibili però, quindi attenzione!) e anche selvaggina (ma non tutti gli animali sono aggressivi allo stesso modo, quindi se sarà facile uccidere una rana, non sarà così facile uccidere un giaguaro e pertanto converrà nascondersi o fuggire); infine, il cibo nella maggior parte dei casi ha bisogno di essere cotto, e la carne cruda in caso la si voglia conservare, bisognerà salarla.
Durante le sessioni esplorative, possono cambiare le condizioni atmosferiche, e questo talvolta influirà sulla geografia dell’isola e sulle condizioni fisiche del nostro protagonista.
Infine il gioco implementa una componente di crafting di primaria importanza, e mi pare che sia l’unico caso per quanto riguarda il parco games del Game Boy Color…
Ah, per chi non lo sapesse il crafting, presente in quantità massiccia negli MMORPG degli ultimi anni, è quel sistema che permette al personaggio di un gioco di creare da zero degli oggetti, assemblandone altri: perciò se in SK ci troveremo a dover cuocere la carne, dovremo trovare il modo di accendere un fuoco, e potremo farlo assemblando un bastoncino con delle tavole di legno raccolte in spiaggia o dagli alberi.
Per finire in bellezza, pur apparendo semplice e abbastanza lineare, come potrebbe essere un capitolo di Zelda, SK vanta 7 possibili finali che variano in base a diverse scelte operate durante l’esplorazione.
Insomma questo capolavoro riesce a regalare un senso di realismo e di vertigine anche in 2D con una grafica a 8bit… e oggi anche su cellulare.
In chiusura mi viene da riflettere per contrasto sulla blasonata saga di Final Fantasy, l’emblema del cambiamento dell’industria videoludica negli anni, ovvero quella che penalizza l’originalità (e infatti FF è sempre uguale a se stesso) e l’importanza primaria di una trama interessante, a scapito dei continui miglioramenti grafici che fanno comunque sempre piacere, ma che non regalano il capolavoro.
Anni fa si osava.
Adesso invece si va sul sicuro.
A me però continua a piacere il vecchio ma sempre giovane Stranded Kids!



2 commenti:

  1. posso suggerirti "harvest moon"? Quel gioco si è ritagliato un posto nel mio cuoricione...

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  2. ce l'ho su psp... non mi risulta che esista una versione di harvest moon su game boy color... anche quel gioco è molto originale... e trovo fantastico quello su psp fuso anche ad un po' di fantascienza^^

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