Kiyomizudera, Kyoto. |
H.D. Thoreau
Studiando storia dell'arte giapponese mi è capitato di vedere il particolare di un paravento o di una porta scorrevole, che oggi è incorniciato come fosse un quadro, e rappresenta proprio il Kiyomizudera di Kyoto.
Vengono raffigurate attività di ordinaria amministrazione dei personaggi che in epoca Edo si recavano in questo tempio: c'è un giovane samurai che riceve una salvietta per bagnarsi alla fonte (quella della foto), un uomo che ci prova con una ragazza che non ci sta, e capisci che non ci sta perchè è aggrappata a una ringhiera di legno e un semplice particolare di quel genere ti dice tanto.
Poi c'è anche quella tettoia.
Nel dipinto sotto alla tettoia ci sono i samurai.
Nella mia vita quella tettoia è uno dei ricordi più belli che abbia.
E' un ristorante oggi quella tettoia, ed è il primo ristorante dove ho mangiato, una volta arrivato in Giappone.
Tsukimi Udon (quelli con l'uovo crudo che si cuoce col caldo del brodo e così bello tondo tondo sembra la luna, ma che se lo spacchi e lo fai mischiare con la zuppa mioddio!).
La situazione è stata questa: durante la visita al tempio, la prima della mia vita, comincia a piovere, ma io ero talmente entusiasta che se ogni turista sano di mente avrebbe pensato cose come "che sfortuna, piove" io pensavo al mono no aware e al senso di velato tipico dell'estetica nipponica che la pioggia conferiva all'ambiente.
Giorgio, il mio compagno entusiasta ma sano di mente, cercando di scongiurare una bronchite propone di cercare un posto dove ripararci ed ecco che spunta questo tipico ristorantino da tempio, in una tipica casetta di legno, dove mangiare in ginocchio su una veranda vista natura.
FATTA.
Io, Giorgio, gli tsukimi udon, la veranda di una casa giapponese su cui sono inginocchiato, la pioggia col suo alone di freschezza, eleganza e mistero, l'ambientazione antica, con la sorgente per le abluzioni e il tempio su in alto, ed ecco che passano tre geisha. Quelle vere. Non ho mai visto altrove tanta grazia e tanta eleganza.
Fu quello il momento in cui come un fulmine, mi colpì nel profondo la presa di coscienza che sì, ero in Giappone, avevo realizzato il sogno di una vita.
Oggi nella mia testa gli eventi di quel periodo cominciano a tingersi dei colori del mito, la realtà inizia a sfumare nel sogno, e ancora stento a credere di avercela fatta.
Quello che so, è che ripensando ai momenti di quelle due settimane mi rendo conto di AVER VISSUTO VERAMENTE, con ogni fibra del mio essere; di NON AVER PERSO NEANCHE UN SECONDO DI QUEI GIORNI e di ESSERMI COMPLETAMENTE FATTO INVADERE DA QUELL'ESPERIENZA A LIVELLO DI TUTTI E CINQUE I SENSI.
Ricordo i profumi (il legno e l'incenso dei templi su tutti), i sapori (il ramen, la tonkatsu, il curry di Nara nel ristorante dei treni, lo youkan alla castagna, i melon pan), i suoni (i sutra recitati dai monaci, l'autista del pullman che ti avvisa se trova il semaforo rosso) le sensazioni tattili (i piedi scalzi sul legno delle scale del castello di Himeji e su quelle del Sanmon del Tofukuji) e ovviamente le immagini, tutte, come se i miei occhi fossero stati telecamere.
E oggi, rivedendo quel luogo così importante per me su un dipinto antico, ho pianto.
Vengono raffigurate attività di ordinaria amministrazione dei personaggi che in epoca Edo si recavano in questo tempio: c'è un giovane samurai che riceve una salvietta per bagnarsi alla fonte (quella della foto), un uomo che ci prova con una ragazza che non ci sta, e capisci che non ci sta perchè è aggrappata a una ringhiera di legno e un semplice particolare di quel genere ti dice tanto.
Poi c'è anche quella tettoia.
Nel dipinto sotto alla tettoia ci sono i samurai.
Nella mia vita quella tettoia è uno dei ricordi più belli che abbia.
E' un ristorante oggi quella tettoia, ed è il primo ristorante dove ho mangiato, una volta arrivato in Giappone.
Tsukimi Udon (quelli con l'uovo crudo che si cuoce col caldo del brodo e così bello tondo tondo sembra la luna, ma che se lo spacchi e lo fai mischiare con la zuppa mioddio!).
La situazione è stata questa: durante la visita al tempio, la prima della mia vita, comincia a piovere, ma io ero talmente entusiasta che se ogni turista sano di mente avrebbe pensato cose come "che sfortuna, piove" io pensavo al mono no aware e al senso di velato tipico dell'estetica nipponica che la pioggia conferiva all'ambiente.
Giorgio, il mio compagno entusiasta ma sano di mente, cercando di scongiurare una bronchite propone di cercare un posto dove ripararci ed ecco che spunta questo tipico ristorantino da tempio, in una tipica casetta di legno, dove mangiare in ginocchio su una veranda vista natura.
FATTA.
Io, Giorgio, gli tsukimi udon, la veranda di una casa giapponese su cui sono inginocchiato, la pioggia col suo alone di freschezza, eleganza e mistero, l'ambientazione antica, con la sorgente per le abluzioni e il tempio su in alto, ed ecco che passano tre geisha. Quelle vere. Non ho mai visto altrove tanta grazia e tanta eleganza.
Fu quello il momento in cui come un fulmine, mi colpì nel profondo la presa di coscienza che sì, ero in Giappone, avevo realizzato il sogno di una vita.
Oggi nella mia testa gli eventi di quel periodo cominciano a tingersi dei colori del mito, la realtà inizia a sfumare nel sogno, e ancora stento a credere di avercela fatta.
Quello che so, è che ripensando ai momenti di quelle due settimane mi rendo conto di AVER VISSUTO VERAMENTE, con ogni fibra del mio essere; di NON AVER PERSO NEANCHE UN SECONDO DI QUEI GIORNI e di ESSERMI COMPLETAMENTE FATTO INVADERE DA QUELL'ESPERIENZA A LIVELLO DI TUTTI E CINQUE I SENSI.
Ricordo i profumi (il legno e l'incenso dei templi su tutti), i sapori (il ramen, la tonkatsu, il curry di Nara nel ristorante dei treni, lo youkan alla castagna, i melon pan), i suoni (i sutra recitati dai monaci, l'autista del pullman che ti avvisa se trova il semaforo rosso) le sensazioni tattili (i piedi scalzi sul legno delle scale del castello di Himeji e su quelle del Sanmon del Tofukuji) e ovviamente le immagini, tutte, come se i miei occhi fossero stati telecamere.
E oggi, rivedendo quel luogo così importante per me su un dipinto antico, ho pianto.
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